venerdì 4 settembre 2009

La crisi in crisi

"La crisi sta per finire" è un leit-motiv che oramai non appartiene più soltanto a Berlusconi e Tremonti, ma comincia a dilagare a livello mondiale; ne è sicuro persino il Fondo Monetario Internazionale, in gran parte responsabile di questo disastro economico con le sue politiche ultra liberiste. Il direttore generale Dominique Strauss-Khan è abbastanza convinto, anche se non sembra essere tutto rose e fiori: perché la crisi "persisterà anche se si stabilizzeranno i mercati finanziari e il Pil" e, soprattutto, porterà a una forte ondata di disoccupazione, per cui "la crescita della disoccupazione e la debolezza del mercato immobiliare continuano a comprimere i consumi".
Queste dichiarazioni, se ancora ce ne fosse stato bisogno, sono la dimostrazione lampante dell'ideologia mercantilistica e consumistica della grandi istituzioni economiche internazionali. Secondo loro la crisi sta finendo solo perché il mercato finanziario è stato salvato dal suo disfacimento, grazie agli stati che hanno rimpinguato le banche e piazzato i i titoli 'tossici' (una vera e propria forma di 'socialismo' che in confronto la tanto criticata riforma sanitaria di Obama fa ridere), e la disoccuopazione di massa non è altro che un fastidioso fenomeno collaterale, che non sarebbe poi neanche così problematico se questi lazzaroni senza lavoro sperperassero comunque i loro pochi soldi nell'acquisto di beni inutili, contribuendo quindi a salvaguardare il sacro Pil.
Qualcuno sperava che, nonostante tutto, la crisi economica avrebbe potuto aiutarci a sviluppare nuovi modelli di vita improntati su valori diversi da quelli che la globalizzazione voleva inculcare a forza a tutta la popolazione terrestre; e se parlare di 'opportunità data dalla crisi' poteva sembrare un po' grottesco, sicuramente si sperava in qualche cambiamento epocale. Nel 29 questi cambiamenti ebbbero la forma del new Deal roosveltiano da una parte e del nazi-fascismo dall'altra; oggi invece sembra di assistere a unico mare magnum fatto di soluzioni obsolete e inefficaci, ma in qualche modo già sperimentate e soprattutto figlie della medesima ideologia economica degli ultimi vent'anni, mentre se non altro non solo Roosvelt ma persino Hitler e Mussolini qualche elemento di novità lo potevano vantare.
Se l'unica conseguenza, alla fine, sarà che i ricchi si ritroveranno ancora più ricchi e i poveri più poveri, non è improbabile che questa crisi venga ricordata nei libri di storia come la vera tappa vincente del processo di globalizzazione neoliberista.

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