mercoledì 31 marzo 2010

Ribelle a prescindere

Indro Montanelli è passato alla storia come giornalista ‘controcorrente’, mentre io sono dell’idea che tale titolo se lo meriterebbe molto di più Massimo Fini. Fini infatti non è mai stato accondiscendente verso nessuna forma di potere (credo che in vita sua non sia mai dovuto ‘turare il naso’, a differenza del fondatore de Il Giornale) e non ha mai appartenuto a nessuna lobby, motivo per cui, quando è stato censurato dalla RAI, non ha trovato appoggi di alcun genere all’esterno, similmente a quanto capitato a Luttazzi e diversamente da Santoro e Biagi.
Quando il Movimento Sociale e la Lega erano ostracizzati dai mass-media, lui si è avvicinato a loro e gli ha concesso il diritto costituzionale di esprimersi; quando tutti, da destra a sinistra, glorificavano il libero mercato globale e la crescita economica, lui svelava la miopia di questa visione e preconizzava il rischio del disastro; mentre tutti osannano il liberalismo e la democrazia rappresentativa, lui analizza le ipocrisie e le imposture di un sistema che porta alla creazione di ristrette oligarchie che monopolizzano la vita pubblica.
Autentico libertario, rifiuta qualsiasi tabù intellettuale e ogni genere di politically-correct, non ha paura di denunciare la natura repressiva di leggi contro l’istigazione all’odio razziale o la negazione dell’Olocausto, per fare degli esempi, non perché sia un nazista (come crede più di qualcuno) ma perché crede nel valore assoluto di certi valori. Personalmente, pur non condividendo molte sue idee, non posso fare a meno di ammirarlo, perché davvero ribelle e anticonformista, e sono molto felice che il Fatto l’abbia scelto tra i suoi opinionisti, pur non essendo riconducibile in tutto e per tutto alla linea editoriale del giornale.
Precisato questo, ho il timore che a volte Fini tenga alcuni atteggiamenti da bastian contrario solo per il desiderio di non ‘conformarsi’ a nessun movimento d’opinione di massa, neppure di opposizione,e ciò lo porta a cadere in contraddizioni. Ad esempio, pur destando Craxi, Fini ha sempre condannato come episodio da biasimare la famosa ‘notte delle monetine’ all’Hotel Raphael, eppure è lo stesso giornalista che, tuonando contro i guasti della democrazia rappresentativa, spesso sembra invitare alla ribellione armata, arrivando persino a lodare il generale turco golpista Evren e auspicando (almeno apparentemente) una soluzione del genere per l’Italia.
L’apice è stato però raggiunto da due editoriali pubblicati sul Fatto: uno del 28 marzo dove attaccava le donne con argomentazioni da bar dello sport (motivo per cui la redazione ha sentito l’esigenza di una replica immediata affidata a Silvia Truzzi) e l’altro apparso sul numero di oggi, 31 marzo, dove invita tutte le forze politiche non-PDL a unirsi in una sorta di nuovo Comitato di Liberazione Nazionale (per altro quello originario, che ha coordinato la Resistenza, è stato spesso oggetto di alcuni suoi strali polemici) contro Berlusconi. A suo parere bisognerebbe coinvolgere addirittura la Lega, che oggi rappresenta un vero e proprio apparato politico molto diverso dal movimento schietto e ‘ruspante’ che attirò le simpatie di Fini vent’anni fa, e bisognerebbe evitare critiche a Napoletano (“va incoraggiato invece di attaccarlo in continuazione come fan l’Idv e molti editorialisti del Fatto”, riferimento abbastanza esplicito a Marco Travaglio). Come distinguere il Fini ‘puro e genuino’ da quello ‘pragmatico’ interessato come ogni persona di buon senso a sbarazzarsi della tirannia berlusconiana? E a quale delle due categorie appartiene il Fini-misogino e quello pro-Napolitano?
Caro Massimo, forse sarebbe tutto più semplice esprimersi senza temere di ricevere (troppi) consensi: il conformismo è tutta un'altra cosa.

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