domenica 29 agosto 2010

Il prezzo da pagare

L'Italia si conferma ancora l'unico paese occidentale - o forse proprio l'unico paese in generale - a consentire a Muhammar Gheddafi di dare spettacolo sul territorio nazionale. E anche i peggiori detrattori del leader libico devono ammettere che, per essere un criminale, è davvero un istrione senza pari.
Si direbbe proprio che, quando si trova in visita in Italia, le provi tutte per vedere fin dove può tirare la corda: l'altra volta si presentò con la foto dell'eroe anti-italiani in bella vista sull'uniforme, poi disertò una conferenza organizzata dalla Camera dei deputati; questa volta invece, pur non essendo stato mai un mussulmano particolarmente accanito, ha propugnato l'Islam come religione europea. In entrambi le circostanze ha richiesto che le sue forze speciali (le famose amazzoni) presidiassero l'aereoporto di Fiumicino, in totale spregio della nostra sovranità militare.
Ma questo è il prezzo da pagare, come spiegano candidamente da Palazzo Chigi: "Le commesse che il governo ha concordato con i libici hanno aiutato le imprese italiane a fronteggiare la crisi. Gli italiani questo lo capiscono benissimo". Chi di noi in fondo non ha visto la propria carriera professionale salvata da Gheddafi?
E poi c'è l'altro pezzo di verità, ossia il gioco sporco che la Libia ricopre nel contenimento dell'emigrazione africana, sufficiente per tenere a bada la furia xenofoba leghista.
Per tutte queste ragioni bisogna tacere e sopportare, perché lo impone la realpolitik, ma almeno si potrebbe evitare l'ipocrisia. Ad esempio, il 27 gennaio si potrebbe modificare la celebrazione del Giorno della Memoria, e spiegare le ragioni per cui un capo di stato notoriamente antisemita nelle parole e nei fatti può diventare un alleato accettabile. Le stesse istituzioni ebraiche potrebbero chiarire perchè si dimostrano tanto zelanti quando qualche idiota brucia una bandiera o blatera a vanvera sul sionismo e invece sono piuttosto freddine quando viene accolto con tutti gli onori un sincero nemico di Israele e dell'ebraismo.
Non occorrono invece spiegazioni riguardo al dileggio delle donne provocato da questi show, perchè in Italia si fa ben poco per nascondere maschilismo e misoginia.
Certo se Gheddafi non esistesse bisognerebbe inventarlo, essendo una specie di genietto maligno che incarna la nostra cattiva coscienza, costringendoci a mandar giù rospi che un dittatore più sobrio ci risparmierebbe. Abbiamo voluto la bicicletta? Magari, abbiamo preferito invece fare affari (soprattutto in petrolio per le nostre automonili) e reprimere brutalmente quei movimenti migratori che noi stessi imponiamo con la nostra visione economica e politica mondiali. Se tornassimo indietro e scegliessimo la bicletta, potremmo liberarci non solo dell'invadente presenza di Gheddafi ma anche di quella di altre folkloristiche figure di casa nostra.

giovedì 26 agosto 2010

Quando Marchionne ha ragione

Sergio Marchionne, l'uomo che finora ho ammirato esclusivamente per il tenace attaccamento al maglione anche in piena estate - chissà se indossa sempre lo stesso oppure ne ha uno stock - mi ha dato un'altra ragione per stimarlo dopo il suo intervento al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, dove ha sentenziato che è necessario "un nuovo patto sociale". Dopo tante critiche, bisogna dargli atto che questa volta ha perfettamente ragione.
E' necessario che la società stabilisca una volta per tutte, nero su bianco, quali sono le priorità e gli obiettivi che si pone, altrimenti si rischiano pericolose degenerazioni arbitrarie. Potrrebbe capitare, ragionando per assurdo, che un'impresa privata, dopo aver ricevuto lauti sovvenzionamenti pubblici, si comportasse sprezzantemente come se avesse sempre pagato di tasca propria, e si sentisse in pieno diritto di smantellare la produzione italiana per delocalizzarla altrove.
Ma forse l'AD di FIAT, di cui è nota la profondità di pensiero, voleva spingersi un po' più in là con il suo ragionamento. Forse vorrebbe che la società si interrogasse sulle sue necessità reali, sulle prospettive economiche e sulla salute del pianeta: ad esempio, avrebbe senso mantenere la produzione di un comparto la cui domanda è oramai satura e e un'eventuale espansione comporterebbe gravi problematiche di carattere ecologico?
Marchionne ha perfettamente ragione anche quando teme i sabotaggi. Con i tempi che corrono, con la giustizia e il diritto ridotti ai minimi termini, si potrebbero aprire scenari veramente inquietanti. Potrebbe capitare - ammetto di essere un po' catastrofista - che qualcuno proponga accordi dove si chieda di rinunciare a garanzie costituzionali; addirittura potrebbe capitare (e qui chiedo venia perché adesso esagero davvero) che questo qualcuno potrebbe non solo imporre simili intese, ma addirittura farle approvare per poi disattenderle e chiedere continue rinegoziazioni.
Ma la parte dove Marchionne ha tutte le ragioni del mondo è quando dice: "Basta conflitti tra operai e padroni, in Italia paura del cambiamento". Ha ragione: basta! I conflitti tra opera e padroni avevano senso nella vecchia società fordista, quando si pensava che lo sviluppo industriale fosse positivo a prescindere e che l'unico problema consistesse nelle condizioni di lavoro. Oggi, con il fallimento sociale e ambientale dell'industrializzazione sotto gli occhi di tutti, i nuovi conflitti devono essere semmai tra padroni e resto del mondo.
L'unico punto sul quale ci sentiamo in diritto di correggere leggermente Marchionne è che non solo l'Italia, ma tutto l'Occidente e i nuovi paesi emergenti, ahimé, temono il cambiamento. Purroppo comandano ancora classi dirigenti che vedono nel PIL un parametro di benessere, che puntano ancora su produzioni nocive, che non sono interessate alle tematiche ambientali e sociali. Nel XXI secolo, esistono ancora imprenditori che puntano la loro efficienza sulla manodopera a basso costo alla ricerca per il mondo di paesi da sfruttare, roba da Inghilterra dell'età vittoriana. Ma il vero scandalo, e qui plaudiamo sinceri insieme a tutto il gotha confindustriale, è il sindacato: di fronte a tutti questi problemi sembra far finta di non vedere e tutto quello che sa fare è proporre timidi miglioramenti all'insegna del 'meno peggio'. Alcuni leader sindacali, poi, sembrano più in sintonia con gli imprenditori che con gli iscritti.
Per tutti questi motivi, aderiamo convinti alla proposta di Marchionne di un nuovo patto sociale. Se lo dice lui vuol dire che è proprio arrivato il momento.

venerdì 20 agosto 2010

La buona fede degli ignoranti

Lo spunto per parlare di scienza mi viene dal sito de Il Fatto Quotidiano, dove ha aperto un blog Dario Bressanini, docente di scienze chimiche e ambientali e autore del libro Chi ha paura degli OGM?. Costui è uno sfegatato difensore degli organismi transgenici, e nel blog – bisogna dargli il merito di intervenire spesso in risposta ai lettori – è solito sbandierare dati a suo giudizio inoppugnabili e accusare chi la pensa diversamente di essere ‘ignorante o in malafede’.
Io accomunerei gli scienziati come lui insieme ai fanatici dell’energia atomica, e anzi inizierei il mio ragionamento dal nucleare perché si presta meglio.
Partiamo dall’assunto – tutt’altro che dimostrato e assai lontano dal vero – che l’energia atomica non comporti rischi, che sia ‘pulita’ e che la tecnologia futura scoprirà come gestire le scorie in assoluta sicurezza, e ammettiamo persino che nel pianeta ci sia abbondanza di uranio, che invece ha già raggiunto il picco dello sfruttamento.
Perché dovremmo ricorrere al nucleare? L’ha già spiegato qualche settimana fa Veronesi: perché dalla scissione di un piccolissimo atomo è possibile ricavare un’energia enorme. Molto bene: adesso che abbiamo questa straripante energia, che cosa ce ne facciamo?
Gli USA sono il paese paradigmatico per il nucleare, in quanto dispongono di più di 400 centrali. L’enorme quantità di energia è servita prevalentemente ad alimentare un consumismo di proporzioni colossali che, nelle sue manifestazioni più blande, si manifesta sotto forma di elettrodomestici inutili (asciugapiatti, tritarifiuti, ecc) o aria condizionata sempre accesa e rigorosamente sotto i 20 gradi. Malgrado tutto questo Bengodi energetico, la società statunitense brilla per povertà, criminalità, degrado ambientale e ignoranza. Si badi bene che non accuso di tutto ciò l’atomo, semplicemente ho seri dubbi sull’equazione benessere=energia. L’acqua, ad esempio, è un bene fondamentale ma non ne occorrono 1000 litri al giorno a testa; invece sembra imprescindibile avere una fornitura casalinga da 5-6 Kw/ora. Potremmo accendere contemporaneamente tostapane, asciugacapelli, forno a microonde e lavastoviglie! Non è magnifico? Tutto ciò ci costerebbe solamente:
1) investire miliardi di euro
2) dipendere in modo massiccio da tecnologia e materie prime straniere
3) deturpare il territorio per la costruzione delle centrali
Qualche malpensante penserà che il nucleare serve per mantenere in piedi la società dei consumi e la crescita economica: chissà perché sono favorevoli a spada tratta gli industriali, mentre più si scende verso il basso nella scala sociale la diffidenza aumenta. Forse sono solo ‘ignoranti o in malafede’, come direbbe Bressanini, o forse ritengono che il loro principale problema non sia la scarsa energetica domestica. Forse osano credere che la qualità e la possibilità di accesso a sanità, istruzione, servizi sociali non dipenda dal nucleare.
E passiamo quindi al nostro poeta dell’OGM. Anche qui diamo per scontato che non esistano rischi per la salute e che la Natura sarà così gentile, per una volta, da non mutare i parassiti creando specie resistenti, così come ha fatto per i pesticidi.
Perché avremmo mai bisogno di modificare il DNA delle piante? Le ragioni sono essenzialmente due:
1) per creare colture più produttive
2) per creare specie resistenti a erbicidi e pesticidi
L’argomentazione 2 forse si può liquidare come incitazione all’uso di glifosato e altre schifezze.
L’argomentazione 1 è più complessa, prevede che esista al mondo un problema di scarsità di cibo. Tutti siamo consapevoli della fame nel mondo, gli ultimi rapporti FAO parlano di più di un miliardo di denutriti. Molti però non si immagineranno minimamente che nel 2008, anno in cui è impennato il prezzo di molti generi alimentari a seguito anche di speculazioni finanziarie, la produzione mondiale di cereali ha raggiunto il valore record di 2.232 tonnellate, un dato che dovrebbe significare la disponibilità di un chilo al giorno per ogni essere umano. Questa situazione assurda chiarisce come il problema della crisi alimentare dipenda principalmente da situazioni politiche ed economiche.
Molti paesi del sud del mondo indebitati con l'estero, su dettame del FMI, hanno creato vaste monocolture di prodotti per l’esportazione, rinunciando alla sovranità alimentare; è noto come la monocoltura sia particolarmente suscettibile a malattie e invasioni di parassiti. Ma niente paura: adesso ci pensano Monsanto e Bressanini a renderle invulnerabili. I limiti naturali potevano spingere verso il ritorno a un’economia contadina basata sull’autosufficienza alimentare, sulla filiera corta, sul recupero della tradizione, e invece la scienza ha trovato il modo di rendere congeniale un modello di oppressione neocoloniale. Nelle culture indigene le donne svolgono spesso un ruolo cruciale nella selezione dei semi, ma adesso ci pensa l’industria bio-tech occidentale, da cui bisogna dipendere a doppio filo; per l'occupazione femminile possono aprirsi prospettive di altro genere, magari nelle sovraffollate megalopoli. Tutto ciò per aumentare una produttività già sufficiente per le necessità umane – forse non per gli standard consumistici occidentali, però – e per rafforzare modelli di dominio economico. Si ricordi che la ‘rivoluzione verde’ della meccanizzazione e della biochimica è responsabile dello spopolamento delle campagne che ha creato le attuali ondate migratorie.
Neopositivisti in buona fede come Bressanini o Margherita Hack, obietterebbero che non è vero, che si possono immaginare altri modelli per queste tecnologie: il fatto è che si prestano di per sé così bene agli interessi del business che è difficile modificare questo spirito. Nucleare e ricerca genetica richiedono un livello di conoscenze e capacità tecnologiche tali da creare una cesura netta tra élite scientifica e resto del popolo, dove quest’ultimo è solo attore passivo costretto a fidarsi. Questi scienziati pensano che la produzione di più energia o più alimenti sia un bene in se stesso, senza pensare alle inevitabili ricadute sociali. Bressanini pensa forse a sfamare il mondo, ma non si interroga sull’indipendenza e la dignità dei contadini, perché lui ragioni in termini di geni e non di esseri umani. Si eccita per la resistenza ai parassiti del cotone BT, e non per le comunità contadine che attraverso il recupero della tradizione riescono ad attuare una politica di sovranità alimentare e di ripresa dell’occupazione.
Questa scienza produttivista è responsabile della guerre mondiali, della creazione di smisurati arsenali atomici e della devastazione ambientale: non ci serve più. Abbiamo bisogno di una scienza che attribuisca dignità agli uomini e alle donne e non potere di vita e di morte alle corporation, che ci permetta di vivere bene con poco e non a desiderare sempre di più; magari anche meno presuntuosa e più umile, che non tratti con sufficienza coloro che non hanno raggiunto certi livelli tecnologici. La mission della scienza occidentale, tesa a salvare dalla fame i paesi sottosviluppati, ricorda moltissimo l’opera civilizzatrice dei colonizzatori.
Quando i neopositivisti avranno compreso questi concetti, forse capiranno meglio chi è veramente ignorante e in malafede.

mercoledì 18 agosto 2010

Io non piango ma non sono il solo

Stavo per accingermi a scrivere un commento sulla morte di Cossiga, molto difficile perché da una parte non si deve mai mancare di rispetto ai morti, dall'altra non si può fare gli ipocriti fingendo di dimenticare certe vergogne. Per fortuna Nando Dalla Chiesa ha scritto sul Fatto Quotidiano di oggi un pezzo che condivido al 100%, per cui contrariamente alle mie abitudini lo quoto integralmente.


Sarò onesto, Cossiga non mi mancherà
Di Nando Dalla Chiesa

Certo non si porterà nell'aldilà solo i segreti veri di questa Repubblica. Si porterà anche i segreti da lui inventati, le trame inesistenti fatte intravedere, le panzane spacciate per misteri
Sarò onesto: non mi mancherà. Guai se la pietà per la morte offuscasse la memoria e il giudizio che la memoria (viva, ben viva) porta con sé. Non esisterebbe più la storia. E dunque, parlando di Francesco Cossiga, rifiuterò il metodo che gli fu alla fine più congeniale: quello di ricordare i morti diffamandoli, dicendo di loro cose dalle quali non potevano difendersi. Fidando nel fatto che i familiari una cosa sapevano con certezza: che se avessero osato replicargli lui avrebbe inventato altri episodi sconvenienti ancora e poi li avrebbe dileggiati, forte della sua passata carica istituzionale e della compiaciuta docilità con cui la stampa ospitava ogni sua calunnia. Fece così con Moro, con Berlinguer, con il generale dalla Chiesa. Fece così con altri. Era nato d’altronde un autentico genere giornalistico, l’intervista a Cossiga, che consisteva nel mettergli davanti un microfono o un taccuino e ospitare senza fiatare le sue allusioni, le sue bugie.

Da trasformare in rivelazioni storiche, provenienti dal loro unico e inesauribile depositario. Mi atterrò dunque ai fatti che tutti possono pubblicamente controllare. Perché ai tempi fui tra parlamentari che ne chiesero l’impeachement, anzitutto. Perché io il sistema politico di allora, quello che chiamavo il regime della corruzione, lo volevo cambiare per davvero. Ma per renderlo conforme alla Costituzione e a un decente senso delle istituzioni. Perciò mi scandalizzavo nel vedere un capo dello Stato giocare soddisfatto al picconatore, conducendo una massiccia attività di diseducazione civica. Quando poi Cossiga si mise alla testa della lotta contro i giudici, minacciando, lui presidente del Csm, di farlo presidiare militarmente dai carabinieri avvalendosi delle sue prerogative di Capo supremo delle Forze armate, pensai che la misura era colma. Che l’uomo esprimeva una cultura golpista e che era nella posizione istituzionale per tradurla in realtà politica.

Le chiavi di casa e i giudici ragazzini
Perché titolai la storia di Rosario Livatino “Il giudice ragazzino”. Esattamente in polemica con lui, che delegittimava i giovani magistrati che in Sicilia sfidavano la mafia. A questi giudici ragazzini non affiderei neanche le chiavi di una casa di campagna, aveva detto. E Livatino, morto a trentotto anni, aveva compiuto le sue prime coraggiosissime inchieste quando di anni ne aveva ventotto. Avevo imparato dai racconti di mio padre che quando si ha a che fare con la mafia chi ha un grado superiore protegge chi sta sul posto, ci passeggia insieme in piazza perché tutti capiscano. Che non è solo, che ha dietro lo Stato. Lui, capo dei magistrati, aveva invece umiliato sprezzantemente proprio i giudici più esposti negli anni della mattanza. Perchémi astenni, unico nel centrosinistra, sulla fiducia al primo governo D’Alema. Non per oltranzismo ulivista, ma perché non ero certo entrato in parlamento per fare un governo con Cossiga e con ciò che lui rappresentava nella vita del paese e nella mia vita personale. Il testo dell’intervento pronunciato in quell’occasione è agli atti. Allora mi valse richieste di interruzione da sinistra e qualche stretta di mano (tra cui quella di Gianfranco Fini). Perché l’ho spesso citato – ma non quanto avrei voluto – nei libri, negli articoli o negli interventi che avevano per oggetto la vicenda di mio padre.


Veleni attorno a un sacrificio
Perché ho sempre trovato maramaldo quello spargergli veleno intorno dopo il suo sacrificio. Non ho mai capito se fosse il seguito dell’isolamento che il sistema aveva inflitto al prefetto dopo l’ annuncio che sarebbe andato in Sicilia per combattere la mafia per davvero. Ricordo però con certezza che Cossiga iniziò a colpirne l’immagine in vista del maxiprocesso presentandolo con naturalezza come iscritto alla P2. I giudici che avevano indagato a Castiglion Fibocchi, Gherardo Colombo e Giuliano Turone, mi garantirono che loro nella lista quel nome non l’avevano trovato. Lui insisté contro ogni atto giudiziario e parlamentare (della storia ho reso i particolari su “In nome del popolo italiano”, biografia postuma di mio padre, nel 1997). Finché anni dopo ancora raccontò la sua pazzesca verità: per proteggere mio padre Colombo e Turone, giudici felloni, avevano strappato un foglio dall’elenco. Non smise mai di raccontarlo. Così come, per sminuire il lavoro di Giancarlo Caselli e di mio padre contro il terrorismo, sostenne un giorno, poco dopo l’avviso di garanzia per Andreotti a Palermo, che il vero merito del pentimento di Patrizio Peci fosse di un maresciallo delle guardie carcerarie di Cuneo. Costui venne da lì lanciato pubblicamente in orbita giornalistica e televisiva per seminare nuove e inverosimili calunnie su mio padre, alcune delle quali si sono ormai purtroppo depositate negli atti giudiziari (tra i quali rimane però anche, a Palermo, il testo della controaudizione da me richiesta).

Altro verrebbe da dire, dalla memoria di Giorgiana Masi uccisa in quella famigerata manifestazione del ‘77 zeppa di infiltrati in armi, al contrasto avuto con lui in Senato, dai banchi della Margherita, sui fatti della Diaz, che lui, sedicente garantista, avallò senza scrupoli. Come e più che con Giovanni Leone, che non ebbe comunque le sue colpe, avremo probabilmente un mieloso coro di elogi. Poiché l’uomo ha incarnato alla perfezione la qualità media della nostra politica questo è assolutamente naturale. Certo non si porterà nell’aldilà solo i segreti veri di questa Repubblica. Si porterà anche i segreti da lui inventati, le trame inesistenti fatte intravedere, le panzane spacciate per misteri. Riposi in pace, e che nessuno faccia a lui i torti che lui fece alle vittime della Repubblica.

sabato 14 agosto 2010

Pupe educational

Donne-pensanti 2.0 è una web-associazione di donne che non ambiscono a fare le veline e si sono a dir poco stufate dell'immagine femminile italiana. Tra le loro battaglie, hanno contestato il programma televisivo La pupa e il secchione, credo sia superfluo spiegarne le ragioni. La responsabile del programma ha risposto alle loro contestazioni, e vi propongo il comunicato perché a suo modo è un capolavoro, un compendio del totalitarismo televisivo. Eccolo per intero, intervallato dai miei commenti:

"La protesta scatenata da un gruppo di blogger e di associazioni contro “La pupa e il secchione” è per me una buona notizia: la televisione normalmente ci scivola addosso senza provocare nessuna reazione. Si tratta però di una protesta che si basa su fragili premesse. È vero che “pupa” e “secchione” sono due stereotipi: ma gli stereotipi, da che esiste l’arte della commedia, non “sviliscono” e non “appiattiscono” ma, al contrario, ci consentono di lanciare uno sguardo all’essenziale, mettendolo letteralmente a nudo"


Ah bene, abbiamo scoperto una valenza positiva dello stereotipo! E noi che pensavamo che fosse intrinsecamente negativo! Adesso finalmente sappiamo che quando qualcuno dice "i negri puzzano" o "gli ebrei sono avari" non sta delirando idiozie, bensì sta 'lanciando uno sguardo all'essenziale'. Il Ku Klux Klan e i neonazisti insomma sono dei filosofi profondi da far invidia a Sartre e Heidegger.


"Il nostro programma non è “vergognoso” – non più di quanto lo siano le commedie di Plauto o i film di Alberto Sordi – perché non giudica e non “incita”, ma, semmai, mette in guardia. Le nostre “pupe” sono mostrate in tutta la loro palese insufficienza: tant’è che l’intera dinamica dello show ruota sulla necessità, per le pupe, di leggere, studiare e informarsi".

A dire il vero dopo il 'trattamento' non è che le pupe diventino esattamente Marie Curie o la Montalcini. E forse per capire la loro insufficienza basta farle parlare per 3 minuti, non occorrono 2 mesi di trasmissione. E forse prima di paragonare un programma Tv demenziale all'opera di Plauto bisognerebbe sciacquarsi accuratamente la bocca.


"Nella nostra televisione, invece, alle donne non viene richiesto mai altro oltre ad un corpo da esibire. Mi stupisce infine che i contestatori, e soprattutto le contestatrici, non abbiano colto un aspetto fondamentale del programma: siamo i soli a denudare i maschi, a mostrarne i corpi non proprio entusiasmanti, a ridicolizzare il modello imperante secondo il quale al maschio è concesso di essere brutto purché intelligente".

E quando mai questo scambio 'bruttezza in cambio di intelligenza' sarebbe un modello imperante? E perché allora non mettere a nudo l'insufficienza dei maschi veramente imperanti, tipo i macho e i belloni che fanno i tronisti nelle varie trasmissioni Mediaset? Mi sfugge come la ridicolizzazione dei maschi più deboli sul piano dell'immagine possa riscattare la condizione femminile. Se ciò fosse vero, si potrebbero prendere dei maschi con handicap gravissimi, sbatterli in Tv e poi dire: 'ecco donne, questo è il vostro riscatto!'.


"Ma, soprattutto, non bisogna dimenticare mai che “La pupa e il secchione” è uno show: ci divertiamo a farlo, e lo facciamo soltanto per divertire il pubblico".
Simona Ercolani Capo progetto della Pupa e il secchione

Mah sì dai, è solo per divertirci che facciamo così. C'è chi si diverte giocando a canasta o a bocce, noi invece producendo programmi con ragazze lobotomizzate. In fondo c'è stato di peggio, Plauto si divertiva con i combattimenti di gladiatori! Quindi ridateci il giocattolo e lasciateci giocare. Se per caso vostro figlio bruttino e secchione è oggetto di dileggio dei compagni e gli amici di vostra figlia usano parole come 'zoccola' o 'troia' alla stessa stregua delle preposizioni articolate, ricordatevi che stanno mettendo a nudo l'essenziale, quindi non c'è nulla di cui preoccuparsi.

A riprova di quanto sia orrenda la televisione, qualche giorno dopo il comunicato Barbara D'Urso ha invitato le promotrici della petizione nella sua trasmissione, per un 'confronto con le pupe e i secchioni'. La cosa più squallida della Tv è probabilmente il suo orrendo populismo pseudo-democratico, la sua falsa tolleranza. "Venite ragazze, in un bello studio dove siamo pronti a coprire di "buhhh" le vostre ragioni e a spellarci le mani in applausi per ogni sciocchezza dei nostri eroi; magari chiamiamo anche Sgarbi e la Mussolini in soccorso, e vediamo se voi siete così brave a urlare come a fare le intellettuali. Tanto alla fine saremo noi a fare la figura dei moderni liberali disposti al confronto, mentre voi quella dei tediosi grilli parlanti".
Purtroppo per Mediaset, queste donne-pensanti sono talmente antropologicamente diverse che non smaniano dalla voglia di apparire in Tv, e addirittura sono sospettose:

"Buongiorno,
vi ringraziamo per l’invito a partecipare alla trasmissione Domenica5 per parlare della nostra iniziativa nei confronti de La pupa e il secchione ma ci piacerebbe che il dibattito, nato in Rete, per il momento proseguisse in Rete. Crediamo che Internet sia attualmente il media più plurale e democratico per affrontare questo tipo di discussioni perché consente a tutti di esprimere la propria opinione prendendosi il tempo necessario, senza che le voci si accavallino o vengano deformate dai tempi o da chi è più capace di imporsi come purtroppo spesso accade in questo tipo di dibattiti televisivi.
E’ importante e doveroso affrontare la questione, anche in televisione, ma è necessario farlo in modo adeguato e serio, con gli autori e promotori del programma e non con i partecipanti dello stesso.
La nostra posizione è ampiamente descritta nel testo della mail inviata a Mediaset, che rialleghiamo nella sua versione integrale e ridotta e che speriamo possa offrirvi un punto di partenza per il vostro dibattito.
Le promotrici"

Spegniamo la Tv, accendiamo il cervello!