domenica 20 novembre 2011

La notte di Repubblica

Eugenio Scalfari qualche mese fa rilasciò un'intervista in cui tra l'altro affermò: "Il Fatto somiglia al Corriere che cerca continuamente le crepe nel Pd perché l’ideologia di quel giornale è privilegiare il centro. Il Fatto non si capisce chi privilegia".
Lo stesso non si può certo dire della sua creatura, Repubblica, che sa benissimo chi privilegiare e come. E adesso ha scelto sicuramente di glorificare il salvatore della patria benedetto dalle banche, ossia Mario Monti contro il quale, come ama ripetere il direttore Ezio Mauro, si scagliano sia "il populismo di destra" rappresentato da Berlusconi sia "il populismo di sinistra" incarnato dagli Indignati. Per cui il giornale che prima tuonava contro i conflitti di interesse di Berlusconi (ma forse più per le sue questioni sessuali - vedi l'insistenza fino alla noia con cui è stata portata avanti la campagna delle 'dieci domande') non ha nulla da ridire sugli intrecci affaristici di Corrado Passera. Del resto la forza politica entusiasta del governo Monti è proprio il PD, che evidentemente ha trovato il modo di tamponare le sue crepe più significative.

giovedì 10 novembre 2011

Caro amico ti lascio

Chi scrive è un oppositore di Berlusconi della prima ora, fin dal 1994, quando avevo sedici anni e il messia di Arcore riscontrava consensi in famiglia e tra i compagni di scuola. Ho sempre pensato che questo strano incrocio tra un dittatore sudamericano e un piazzista da televendita si fosse impegnato in politica unicamente per interessi personali, e che non avrebbe esitato ad appoggiarsi alle peggiori forze politiche in circolazione e alle persone più meschine disposte a vedersi ai suoi servigi; per tali ragioni ho sempre ritenuto che la priorità fosse sbarazzarsi di lui, anche a costo di mal di pancia e intese al ribasso.
Fino al 2006 ha votato per il centro-sinistra, e precisamente per la cosiddetta sinistra radicale. Nonostante l'inadeguatezza di quell'esperienza, i gravi errori le complicità con quello che doveva essere il nemico pubblico numero uno, non rimpiango di averlo fatto: forse mi illudo, ma può essere stato importante tenere lontano Berlusconi anche solo per poco dai vertici massimi delle istituzioni.
Nel lasso di tempo che va dalla 'discesa in campo' del tycoon di Arcore fino ad oggi, mentre lamentavo l'inettitudine della classe dirigente ulivista, ho manifestato con persone molto diverse da me ma come me sinceramente preoccupate: ad esempio autentici liberali, di cui non condividevo per nulla l'approccio economico, ma che con la mia stessa passione difendevano le libertà democratiche fondamentali, lottavano contro la presenza della mafia nelle istituzioni e la perdita di ogni barlmune di senso dello Stato. Persone come Indro Montanelli, Antonio Di Pietro, Marco Travaglio e Gustavo Zagrebelsky - che nei manuali di teoria politica apparterrebbero alla 'destra' e sarebbero stati degli avversari - sono diventate degli importanti punti di riferimento da oppore al nascente regime fascistico-affaristico-mediatico. E così sono sorte iniziative come Il Fatto Quotidiano, dove contemporaneamente scrivono professori di economia dichiaratamente liberisti, sostenitori delle misure europee insieme a fautori della decrescita come Pallante e Bertaglio, senza che ciò apparisse minimamente schizzofrenico.
Per quanto possa essere doloroso, questa esperienza di unità a favore della democrazia liberale, che in qualche modo poteva incentivare a baciare il rospo del centro-sinistra, oggi si è definitivamente conclusa con il tramonto di Berlusconi e l'ascesa di Mario Monti.
Con tutti i loro difetti, bisogna riconoscere alla BCE, alla Goldman Sachs e ai poteri forti della finanza internazionale di averci messi con le spalle al muro davanti a un aut-aut imprescindibile, molto più di quanto non abbia mai fatto Berlusconi. Se per anni il centro-sinistra ha vagheggiato 'intese programmatiche' che conciliassero tutto lo schieramento dai centristi a Rifondazione, i poteri forti il programma ce l'hanno servito già bello e pronto su di un piatto d'argento, con la lettera Draghi-Trichet. Un programma che, al pari dei dieci comandamenti, non ammette deroghe di alcun tipo e impedisce di trovare dei punti in comune tra chi lo sostiene e chi no. Stesso discorsa vale per la questione del debito.
Certo si può provare ancora a quadrare il cerchio, come sembra voler fare Paolo Ferrero quando nella stessa intervista sostiene di "agire come si agisce in Val di Susa" insieme alla necessità di realizzare un'alleanza elettorale con il PD, cioé la forza politica che della Val di Susa sostiene la militarizzazione. In questo modo si rifiuta Monti per i 'montiani', facendo un operazione forse ancora peggiore, dove l'inevitabile disillusione degli elettori potrebbe trasformarsi in apatia per la politica.
Sarebbe bene invece passare in rassegna tutti i vecchi amici della lotte antiberlusconiane per porre tre domande semplici e inequivocabili:

- è giusto obbedire ai diktat della BCE?
- è giusto onorare il debito?
- la crescita del PIL è il rimedio alla crisi economica?

Se la risposta è un 'sì' convinto anche solo a una di queste domande, allora l'amicizia potrà continuare, ma il periodo della militanza comune si è chiuso per sempre.

venerdì 28 ottobre 2011

Rossi di vergogna

Che Oliviero Diliberto fosse un comunista machiavellico lo sapevamo già, basti pensare al sostegno accordato al governo D'Alema per la guerra in Kosovo (che creò la frattura con Rifondazione Comunista e la nascita del PDCI), oppure alla strenua difesa della Repubblica Popolare Cinese come stato 'socialista', un sostegno ricambiato dal governo di Pechino con la promozione di Diliberto nello staff di docenti universitari incaricati di riformare il codice civile cinese.
Eppure, malgrado questi precedenti, non pensavamo certo che potesse infrangere certi limiti di schiettezza, come ha fatto invece nell'intervista rilasciata a Luca Telese pubblicata ieri sul Fatto Quotidiano.
Quando Telese gli chiede tre ragioni per cui votare la Federazione della Sinistra (FdS) invece del PD, il leader maximo italiano ha le idee ben chiare: "Perché stiamo con gli operai, e non con Marchionne. Perché difendiamo la scuola pubblica, e non quella privata come gli ex del Ppi. Perché siamo contro la guerra (qualche passo in avanti dal 1999, n.d.r.)".
Tuttavia, questa frase chiuede un'intervista dove Diliberto delineava una sinistra radicale ancella fedele del centro-sinistra. Pur escludendo orgogliosamente di inserire dei candidati direttamente nelle liste del PD (come hanno fatto i Radicali), propone un apparentamento nella coalizione del nuovo Ulivo in modo "che tutta la federazione otterrebbe 21 seggi. Grazie al premio di maggioranza che viene diviso anche con il primo partito che non raggiunge il 4%". Furbo il compagno.
A quel punto però, una volta sostenuti dal PD, bisogna fare i seri ed evitare intemperanze rivoluzionarie, perché "i partiti comunisti che conosco io operano nella realtà. Quindi, se ci si allea con il centrosinistra, si vota la fiducia". La fiducia al governo che, come ha dichiarato pubblicamente Letta jr senza ricevere smentite dai vertici del suo partito, dovrà attuare il programma indicato da Draghi e Trichet nella famosa lettera a Berlusconi, che notoriamente prevede misure draconiane contro i lavoratori e privatizzazioni a raffica.
Viste le premesse, allora tanto vale votare direttamente per il PD.

venerdì 21 ottobre 2011

Askatasuna e la loro libertà

Anche il CSA Askatasuna ha avuto i suoi '15 minuti di celebrità' quando i notiziari televisi del 16 ottobre hanno ripreso il comunicato dove si dice che la manifestazione degli Indignati italiano "doveva finire con qualche comizio in piazza San Giovanni, è finita con ore di resistenza". Come si può evincere sempre dalle pagine del medesimo sito, la 'resistenza' in questione è ben rappresentata da un ragazzino incapucciato che ha appena divelto un segnale di divieto di transito. Altri segnali stradali - insieme alla famosa statua della Madonna, a una camionetta dei carabinieri e alle auto parcheggiate di qualche anonimo disgraziato - non ci sono più, mentre la casta politico-economica è sempre bella al suo posto più forte di prima.
Oggi 21 ottobre, Askatasuna e altri soggetti dell'area antagonista hanno redatto un altro comunicato dove, tra le altre cose, si sostiene che "il cartello degli organizzatori non aveva la forza politica e la rappresentatività necessarie per imporre all’indignazione italiana una deviazione dal sentimento e dalle pratiche della globalrevolution. Lo si è visto nella partecipazione residuale all’assemblea di Via Nazionale indetta dagli organizzatori il 29, così come nella presenza di massa, il 30, agli spezzoni metropolitani, precari e antagonisti che li hanno preceduti in corteo. Non riteniamo che sulle azioni prodotte in Via Cavour da gruppi di manifestanti, di diverso orientamento e dinamiche di affinità, debba concentrarsi la nostra analisi. È tuttavia chiaro che incendiare automobili lungo il percorso di una manifestazione di massa, ben sapendo che la stragrande maggioranza dei presenti è del tutto contraria a un simile atto, significa esprimere un disprezzo profondo per il corteo, attraverso un gesto che non conduce a nessuna prospettiva di allargamento del consenso e di produzione di conflitto sociale".
Eviterò di sindacare sul fatto che l'incendio di automobili - per altro non di proprietà degli organizzatori - sia o meno un metodo consono di espressione del dissenso. Ma il problema principale è l'odio verso la manifestazione e chi l'ha preparata. Io una soluzione definitiva ce l'avrei: perché Askatasuna e compari non organizzano delle LORO manifestazioni, invece di infiltrarsi a quelli ALTRUI? In questo modo non si porrebbero più problemi di accertamento di responsabilità e presa di distanza.
Per chiudere, dopo tanto distinguo vorrei invece fare mio l'appello finale degli autonomi:"rilanciamo l’appello a coltivare l’indignazione, a promuovere la discussione, la mobilitazione e la progettualità del dopo 15 ottobre nelle scuole, nei quartieri, tra i precari e i migranti, nei territori in lotta contro la devastazione ambientale". Soprattutto contro la devastazione.

giovedì 13 ottobre 2011

Draghi di guerra

E' solo una casualità, ma fa una certa impressione che il penultimo discorso di Draghi alla Banca d'Italia sia quasi contemporaneo alle minacce USA verso l'Iran per un presunto complotto contro l'ambsciatore saudita in America. Entrambi i fatti potrebbero rappresentare le due linee guida del futuro: da una parte la 'crescita' contro la lotta al debito, e dall'altra la guerra come strumento dei problemi economici e come fonte di accaparramento delle ultime risorse rimaste. Draghi, a differenza di molti politici, non pecca di chiarezza: "la politica superi le fazioni", appellandosi all'orgoglio nazionale italiano. Eppure l'ex (?) uomo di Goldman Sachs, che passa per uomo di grande cultura, dovrebbe sapere che nel momento in cui annuli la differenza uccidi la politica. E se ha ragione Von Clausewitz, cioé che la guerra è "la prosecuzione della politica con altri mezzi", allora il futuro che ci prospetta Draghi l'impegno politico coinciderà con il bombardamento di Teheran o altre città di stati-canaglia.

giovedì 6 ottobre 2011

Un nuovo otto marzo

Forse noi italiani come giorno della festa della donna dovremmo passare dall'otto marzo al tre ottobre, giorno della strage del laboratorio di Barletta dove cinque donne (tra cui una ragazza di appena quattordici anni) hanno perso la vita. Questo massacro se possibile è ancora più odioso di quello della Cotton del 1908: quelle lavoratrici infatti erano formalmente in regola con il contratto e qualche giorno prima dell’incidente avevano potuto addirittura protestare pubblicamente, mentre le nostre anche da vive professionalmente parlando erano già dei fantasmi. Del resto come ha affermato il sindaco di Barletta: “Non mi sento di criminalizzare chi, in un momento di crisi economica, viola la legge ma assicura lavoro”. Lavoro che, come diceva già qualcuno, 'rende liberi'...

domenica 20 marzo 2011

No liberty zone

Alla fine la Lega Araba ha espresso ad alta voce le perplessità di molti: l'intervento della 'coalizione dei volenterosi' (ma perché chiamarla sempre così?) in Libia non ha nulla a che vedere con l'imposizione di una no fly zone, è una mera opera di bombardamento attraverso cacciabombardieri e missili cruise. Mentre Gheddafi assedia Misurata, i 'volenterosi' anticipano l'intervento di Italia, Danimarca e Qatar nelle operazioni militari.
A quale scopo? Cosa succederà una volta sconfitto Gheddafi? Quali interlocutori politici hanno trovato Francia e Gran Bretagna?
Una cosa è certa: quando ci sarà da ricostruire la Libia, ogni 'alleato' reclamerà la sua parte di petrolio e gas.

sabato 15 gennaio 2011

Lo storico Marchionne

"Un giorno storico" l'ha definito Marchione, la vittoria con il 54% dei consensi al referendum di Mirafiori. "Un'importante occasione di rilancio", un salvataggio dell'automibile impossibile senza la riduzione delle pause pranzo e la rinuncia alla scelta dei delegati sindacali da parte dei lavoratori. A questo punto, è lecito attendersi che l'accordo fagociti qualsiasi altro diritto del lavoro, del resto quello torinese è figlio del precedente di Pomigliano, un virus che CISL e UIL promettevano sarebbe rimasto circoscritto e che invece è dilagato. Con destra e sinistra quasi compatte nell'applaudire al trionfo di Marchionne, alla FIOM e a chi crede ancora nel diritto resta la scelta tra due opzioni: cercare di ritornare a un passato sempre meno possibile, oppure contestare alla radice le scelte produttive, come quella dell'automobile, che conducono a una dittatura imprenditoriale. Sperando che in futuro ci siano 'giorni storici' diversi da questo.