venerdì 28 ottobre 2011

Rossi di vergogna

Che Oliviero Diliberto fosse un comunista machiavellico lo sapevamo già, basti pensare al sostegno accordato al governo D'Alema per la guerra in Kosovo (che creò la frattura con Rifondazione Comunista e la nascita del PDCI), oppure alla strenua difesa della Repubblica Popolare Cinese come stato 'socialista', un sostegno ricambiato dal governo di Pechino con la promozione di Diliberto nello staff di docenti universitari incaricati di riformare il codice civile cinese.
Eppure, malgrado questi precedenti, non pensavamo certo che potesse infrangere certi limiti di schiettezza, come ha fatto invece nell'intervista rilasciata a Luca Telese pubblicata ieri sul Fatto Quotidiano.
Quando Telese gli chiede tre ragioni per cui votare la Federazione della Sinistra (FdS) invece del PD, il leader maximo italiano ha le idee ben chiare: "Perché stiamo con gli operai, e non con Marchionne. Perché difendiamo la scuola pubblica, e non quella privata come gli ex del Ppi. Perché siamo contro la guerra (qualche passo in avanti dal 1999, n.d.r.)".
Tuttavia, questa frase chiuede un'intervista dove Diliberto delineava una sinistra radicale ancella fedele del centro-sinistra. Pur escludendo orgogliosamente di inserire dei candidati direttamente nelle liste del PD (come hanno fatto i Radicali), propone un apparentamento nella coalizione del nuovo Ulivo in modo "che tutta la federazione otterrebbe 21 seggi. Grazie al premio di maggioranza che viene diviso anche con il primo partito che non raggiunge il 4%". Furbo il compagno.
A quel punto però, una volta sostenuti dal PD, bisogna fare i seri ed evitare intemperanze rivoluzionarie, perché "i partiti comunisti che conosco io operano nella realtà. Quindi, se ci si allea con il centrosinistra, si vota la fiducia". La fiducia al governo che, come ha dichiarato pubblicamente Letta jr senza ricevere smentite dai vertici del suo partito, dovrà attuare il programma indicato da Draghi e Trichet nella famosa lettera a Berlusconi, che notoriamente prevede misure draconiane contro i lavoratori e privatizzazioni a raffica.
Viste le premesse, allora tanto vale votare direttamente per il PD.

venerdì 21 ottobre 2011

Askatasuna e la loro libertà

Anche il CSA Askatasuna ha avuto i suoi '15 minuti di celebrità' quando i notiziari televisi del 16 ottobre hanno ripreso il comunicato dove si dice che la manifestazione degli Indignati italiano "doveva finire con qualche comizio in piazza San Giovanni, è finita con ore di resistenza". Come si può evincere sempre dalle pagine del medesimo sito, la 'resistenza' in questione è ben rappresentata da un ragazzino incapucciato che ha appena divelto un segnale di divieto di transito. Altri segnali stradali - insieme alla famosa statua della Madonna, a una camionetta dei carabinieri e alle auto parcheggiate di qualche anonimo disgraziato - non ci sono più, mentre la casta politico-economica è sempre bella al suo posto più forte di prima.
Oggi 21 ottobre, Askatasuna e altri soggetti dell'area antagonista hanno redatto un altro comunicato dove, tra le altre cose, si sostiene che "il cartello degli organizzatori non aveva la forza politica e la rappresentatività necessarie per imporre all’indignazione italiana una deviazione dal sentimento e dalle pratiche della globalrevolution. Lo si è visto nella partecipazione residuale all’assemblea di Via Nazionale indetta dagli organizzatori il 29, così come nella presenza di massa, il 30, agli spezzoni metropolitani, precari e antagonisti che li hanno preceduti in corteo. Non riteniamo che sulle azioni prodotte in Via Cavour da gruppi di manifestanti, di diverso orientamento e dinamiche di affinità, debba concentrarsi la nostra analisi. È tuttavia chiaro che incendiare automobili lungo il percorso di una manifestazione di massa, ben sapendo che la stragrande maggioranza dei presenti è del tutto contraria a un simile atto, significa esprimere un disprezzo profondo per il corteo, attraverso un gesto che non conduce a nessuna prospettiva di allargamento del consenso e di produzione di conflitto sociale".
Eviterò di sindacare sul fatto che l'incendio di automobili - per altro non di proprietà degli organizzatori - sia o meno un metodo consono di espressione del dissenso. Ma il problema principale è l'odio verso la manifestazione e chi l'ha preparata. Io una soluzione definitiva ce l'avrei: perché Askatasuna e compari non organizzano delle LORO manifestazioni, invece di infiltrarsi a quelli ALTRUI? In questo modo non si porrebbero più problemi di accertamento di responsabilità e presa di distanza.
Per chiudere, dopo tanto distinguo vorrei invece fare mio l'appello finale degli autonomi:"rilanciamo l’appello a coltivare l’indignazione, a promuovere la discussione, la mobilitazione e la progettualità del dopo 15 ottobre nelle scuole, nei quartieri, tra i precari e i migranti, nei territori in lotta contro la devastazione ambientale". Soprattutto contro la devastazione.

giovedì 13 ottobre 2011

Draghi di guerra

E' solo una casualità, ma fa una certa impressione che il penultimo discorso di Draghi alla Banca d'Italia sia quasi contemporaneo alle minacce USA verso l'Iran per un presunto complotto contro l'ambsciatore saudita in America. Entrambi i fatti potrebbero rappresentare le due linee guida del futuro: da una parte la 'crescita' contro la lotta al debito, e dall'altra la guerra come strumento dei problemi economici e come fonte di accaparramento delle ultime risorse rimaste. Draghi, a differenza di molti politici, non pecca di chiarezza: "la politica superi le fazioni", appellandosi all'orgoglio nazionale italiano. Eppure l'ex (?) uomo di Goldman Sachs, che passa per uomo di grande cultura, dovrebbe sapere che nel momento in cui annuli la differenza uccidi la politica. E se ha ragione Von Clausewitz, cioé che la guerra è "la prosecuzione della politica con altri mezzi", allora il futuro che ci prospetta Draghi l'impegno politico coinciderà con il bombardamento di Teheran o altre città di stati-canaglia.

giovedì 6 ottobre 2011

Un nuovo otto marzo

Forse noi italiani come giorno della festa della donna dovremmo passare dall'otto marzo al tre ottobre, giorno della strage del laboratorio di Barletta dove cinque donne (tra cui una ragazza di appena quattordici anni) hanno perso la vita. Questo massacro se possibile è ancora più odioso di quello della Cotton del 1908: quelle lavoratrici infatti erano formalmente in regola con il contratto e qualche giorno prima dell’incidente avevano potuto addirittura protestare pubblicamente, mentre le nostre anche da vive professionalmente parlando erano già dei fantasmi. Del resto come ha affermato il sindaco di Barletta: “Non mi sento di criminalizzare chi, in un momento di crisi economica, viola la legge ma assicura lavoro”. Lavoro che, come diceva già qualcuno, 'rende liberi'...