martedì 20 marzo 2012

le ragioni delle BANANE

Premessa importante: Marco Ponti, professore ordinario di Economia applicata del Politecnico di Milano, con la sua competenza tecnica rimane un punto fermo imprescindibile del movimento No-Tav. Tuttavia, a giudicare dal tono del post Tav, il paradosso dell’opposizione locale pubblicato sul suo blog de Il Fatto Quotidiano, si direbbe che l'anima del tecnico abbia avuto la meglio sulla passione civile del cittadino. A parte le comprensibili dissociazioni dalle proteste contro il procuratore capo di Torino Caselli, la vicinanza con i No-Tav sta risvegliando l'anima tecnocratica, anche se bisogna riconoscere che Ponti si è sempre distinto per una critica esclusivamente di carattere tecnico e mai concettuale. Vediamo alcuni estratti del post:

"Immaginiamo che un’opera sia utile davvero al Paese (ce ne sono molte, grandi e piccole). Ovviamente qualsiasi opera disturba qualcuno, e spesso ne disturba molti. Può “tagliar fuori” attività economiche locali. Può danneggiare attività agricole. Può dare problemi per lo smaltimento dei materiali di scavo. Il cantiere può essere rumoroso o generare polveri o congestione stradale.
Questi danni devono essere minimizzati e adeguatamente compensati. Ma se l’opera è utile bisogna farla, altrimenti le resistenze locali suonerebbero come una manifestazione di egoismo localistico (la sindrome NIMBY, cioè “non nel mio cortile”)...
Quindi lo stato non può rispondere bloccando un’opera utile al paese a causa di proteste locali: si creerebbe un precedente devastante, con rischio concreto di fare esplodere i costi a carico della collettività per compensazioni immotivate, o di non fare più nulla".

Il linguaggio di Ponti, con il ricorso al famigerato acronimo NIMBY, è del tutto simile a quello dei colleghi pro-TAV e ugualmente vuoto.
Innanzitutto, quand'è che un'opera si puè definire 'utile al paese'? Quando permette di aumentare gli scambi commerciali di merci non meglio precisate? Di incrementare il PIL e temporaneamente l'occupazione? Tutto questo malgrado la devastazione ambientale? Ponti non ha fornito dei criteri di utilità, dandoli per implici e autoevidenti.

"Il paradosso è che la Torino-Lione è scarsamente utile, quindi le proteste sono ben motivate. Ma lo stato rischia di creare un precedente. Tanto per chiarire, si rischierebbe di passare da NIMBY (“Not In My Backyard”) a BANANA (Build Absolutely Nothing Absolutely Nowhere Anytime, cioè “non si costruisca assolutamente nulla, mai, e in nessun posto”)".

Sembrerebbe quasi che Ponti, alla fin fine, preferisca la costruzione della TAV al rischio di creare un pericoloso precedente per l'effetto BANANA. Ma perché una persona intelligente come Ponti non riflette sul perché le popolazioni assumono certi atteggiamenti? Possibile siano guidate solo dall'egoismo?
Dopo la seconda guerra mondiale, nel periodo del boom economico, le popolazioni facevo a gara nel chiedere la costruzione di infrastrutture, anche altamente impattanti, sul proprio territorio: ma quello stato, in nome del quale Ponti verrebbero fatti i sacrifici, all'epoca non si limitava a compensazioni economiche. Era uno stato che, con tutti i suoi limiti, favoriva il progresso sociale ed economico. Per cosa bisognerebbe sacrificarsi oggi? Per l'austerità e il pareggio di bilancio Per la flexsecurity e la fine dell'art.18? Per le lacrime della Fornero?
Per tutte quelle classi agiate che, in nome del 'non si tocchino le mie rendite di posizione' (purtroppo non si riesce a tirare fuori un bel acronimo) impongono lacrime e sangue a chi sta peggio? Da quale parte sta allora l'egoismo?

giovedì 15 marzo 2012

Si stava meglio quando si stava meglio

In questi giorni si sono levate molte voci preoccupate sul fatto che i consumi dell'Italia sarebbero regrediti a quelli degli anni Settanta o Ottanta: sul suo blog su Il Fatto Quotidiano, Stefano Feltri - quello che qualche giorni fa definiva la decrescita un progetto totalitario - parla di 'recessione peggiore', anche perché si assisterebbe a una riduzione abbastanza significativa (intorno al 3%) dei consumi alimentari.
Per quanto il fenomeno non vada sottovalutato, occorre seriamente riflettere su dati proposti prima di iniziare la solita lagna greca. Cosa vuol dire ad esempio tornare ai consumi di trent'anni fa? In quel periodo l'Italia viveva una condizione di povertà generalizzata e di denutrizione? Non risulta sia così, anzi. L'Italia era reduce da una serie di conquiste nel campo dei diritti civili e del lavoro, con queste ultime che oggi vengono accusate di ostacolare la crescita tanto desiderata dagli idolatri del PIL come Feltri. Ma il popolo italiano, malgrado gravi sacche di povertà, ha realmente bisogno di 'cose'?
Se i generi alimentari diminuiscono, un recente studio di EBay segnala che nel nostro paese si spendono circa 2 miliardi di euro all'anno per apparecchiature high tech, con un aumento del 20% all'anno; secondo un sondaggio condotto da Cbs Outdoor-Europe on the Move, il 99% degli Italiani possiede almeno un telefono cellulare (record europeo ma probabilmente mondiale), quindi lo possiede anche il 3,6% di Italiani che secondo l'ISTAT vive in condizioni di povertà assoluta; e siamo tra i maggiori acquirenti di Smartphone e Tablet.
Allora viene da pensare che quello che manca forse sono le certezze che ancora nei famigerati anni Settanta e Ottanta erano la regola, come la sicurezza del posto di lavoro oggi inficiata dal dramma della precarietà. E per vivere in uno stato di minor incertezza forse bisognerebbe ridurre e non aumentare la produzione cercando di competere con la manodopera delle nazioni emergenti, ridistribuendo e riducendo l'orario di lavoro. La hybris consumista può solo farci sempre più poveri.

domenica 4 marzo 2012

Il testamento di Tito

Nell'era della società dello spettacolo, di volta volta vari esperti emergono sulla scena mediatica a dispensare le loro verità. Con l'acuirsi della crisi, l'economista Stefano Boeri - tra comparsate in TV, rubriche sui giornali e attività editoriale - sta sicuramente assurgendo a opinion maker: malgrado la stretta osservanza bocconiana, Boeri differisce dal grigiore dei colleghi più anziani - il maestro Monti in testa - l'aspetto perennemente 'giovane' e la bella figura ne fanno una specie di Rutelli dell'Accademia che con voce calda e suadente ci parla di crescita ed equità. L'enfasi sul sussidio ai disoccupati, un fratello vice-sindaco di Milano per il PD e niente meno che un libro per Chiarelettere, la casa editrice de Il Fatto Quotidiano... insomma, se i vari Passera, Fornero e simili rappresentano l'anima un po' autoritaria del Montismo, Boeri ne è sicuramente quella più dinamica e progressista: quella dei liberalizzatori dal volto umano.
L'importante è non leggere troppo approfonditamente ciò che Boeri scrive, altrimenti rischiamo di scoprire una realtà ben diversa. Vediamo ad esempio un paio di estratti dell'ultimo dei suoi contributi scritti per il blog Lavoce.info, intitolato I prossimi cento giorni del governo Monti.

"Abbondano i bilanci sui primi cento giorni del governo Monti. Molti giornali pubblicano pagelle del governo e dei singoli ministri. Noi siamo abituati a utilizzare i voti per le cose serie, per valutare i nostri studenti nel quadro di esami ben più approfonditi di quelli che ci capita di leggere in questi giorni un po’ dappertutto... Peraltro, il voto più importante sull’operato del governo sin qui è quello offerto dai mercati".

Già i mercati... cioé quelle entità astratte che, insieme ad altre cricche più o meno eterodirette, hanno deciso che Monti in Italia e Papademos in Grecia dovessero soppiantare i governi democraticamente eletti. Questi mercanti giustamente - e non il popolo italiano, tanto per dirne una - sono i veri elettori di riferimento del governo tecnico. Chissà se tra le 'riforme a costo zero' di cui parla Boeri c'è anche una modifica dell'articolo 1 comma secondo della Costituzione, magari trasformandolo in "La sovranità appartiene ai mercati che l'esercitano un po' come gli gira".
Mi si obietterà che aver estrapolato una frase del genere dal contesto non vuol dire nulla, che dimostra solo prevenzione. Allora prendiamo un secondo estratto del pezzo di Boeri, questa volta molto più esplicito:

"Dovrà sapere passare dalla gestione dell’emergenza al governo di ciò che è davvero importante, vale a dire alla capacità di decidere su ciò che può aumentare il tasso di crescita economica del nostro paese. Ha un’opportunità unica di fare alcune riforme fondamentali per agire sull’offerta in un momento in cui non ci si può certo basare su stimoli dal lato della domanda per tornare a crescere. Come nel 1992-3, l’emergenza economica e la crisi dei partiti hanno aperto uno spiraglio che non bisogna farsi sfuggire per riforme davvero incisive. Si può intervenire sugli ingranaggi che ci hanno relegato in uno “stato stagnazionario” (stazionario nella stagnazione) da ormai troppo tempo. A partire dai due terreni sin qui prescelti dal governo per rilanciare la crescita: la riforma del mercato del lavoro e le liberalizzazioni. La prima dovrà forzatamente affrontare i percorsi di ingresso nel mercato del lavoro a tutte le età, dato che il dualismo è ciò che oggi frena maggiormente la crescita della produttività del lavoro. Le liberalizzazioni non devono essere assolutamente diluite, come sembra purtroppo stia avvenendo, nel passaggio parlamentare".

Sveglia ragazzi! Non saremo mica sempre così fortunati da aver in Parlamento partiti che non rappresentano nessuno e parlamentari totalmente incapaci e/o corrotti! Potrebbe arrivare qualcuno con un mandato realmente popolare, che potrebbe addirittura assecondare la volontà di quelle greggi di pecore che, quando non pensano al calcio o non guardano la TV sono talmente arroganti da credere di sapere che cosa sia giusto per loro, senza neanche essersi laureati alla Bocconi! Dateci dentro e cercate di sopportare queste inutili lungaggini, e poco importa se nessuno è d'accordo con il vostro Verbo, imponetelo lo stesso senza mediazioni di alcun tipo: saremo mica in democrazia!

Per non essere troppo fazioso, è giusto controbilanciare le mie critiche presentando la parte finale del post di Boeri:

"Per questo valuteremo senza dare voti, ma se possibile con ancora maggiore attenzione i prossimi cento giornidi questo governo. Lo incalzeremo come sempre abbiamo fatto per vedere se e in che misura riforma il mercato del lavoro, difende le liberalizzazioni che ha varato e ne estende la portata. Non smetteremo di proporre anche altri interventi sin qui del tutto estranei all’agenda di governo, come la riduzione della tassazione sul lavoro, a parità di gettito. E gli chiederemo di rispettare le scadenze che si è già dato".

Parola di Tito, il guardiano del Montismo.