venerdì 20 dicembre 2013

Forconi e forchette

Come hanno capito i commentatori più intelligenti, i forconi di per sé rappresentano la rivolta di persone che hanno creduto apertamente nel sistema, e che ancora oggi di fronte alla crisi economica non si interrogano sulla sua validità, ma si limitano a inveire contro i politici corrotti, le banche d'affari l'UE e la massoneria internazionale. 
Per questa ragione i forconi si prestano a strumentalizzazioni di ogni genere, da parte dell'estrema destra di Casapound e soggetti simili che si riconoscono al 100% in questa posizione di 'rivoluzione conservatrice', ed è forse anche questo il motivo per cui alcuni poliziotti si sono slacciati il casco di fronte ai dimostranti - sapevano che la loro istituzione e quelle che le comandano non erano oggetto di discussione.
Portare bandiere italiane in piazza e cantare l'inno di Mameli non è un atto politico - si fa dopo ogni vittoria importante della nazionale di calcio, ossia la cosa più disimpegnata che possa esistere. Diventa politico nel momento in cui, ignorando le profonde trasformazioni che stanno investendo la nostra epoca, i manifestanti rivendicano il diritto a riportare indietro le lancette della storia come se nulla fosse; o forse, come ha notato sarcasticamente qualcuno, basterebbe riportare qualche punto di PIL in più e tutto si aggiusta.
Fa bene la sinistra quindi a mostrarsi sdegnosa nei confronti di questa plebe rabbiosa? O ha ragione Aldo Gianulli quando sostiene la necessità di salvaguardare la forte posizione anti-euro e sottarlo all'abbraccio mortale della destra?
In realtà sono entrambi atteggiamenti sbagliati. Non si può ridicolizzare aristocraticamente la 'plebe' dei forconi, ma neppure scambiare le cause con le conseguenze e concentrarsi acriticamente sulla questione euro, neanche quando la Merkel insiste per 'contratti di governance' che obblighino i singoli stati membri della UE a fare le 'riforme': seppur in modo intellettualmente più profondo, si cadrebbe nello stesso tipologia di errori dei forconi. Occorre un'analisi di maggior rilievo - specialmente se, come nel caso di Gianulli, proviene da uno storico - per capire che cosa si celi realmente dietro alla camicia di forza della UE, alle banche e ai vari 'complotti'. A comprendere le ragioni della fine di un'epoca storica e del profilarsi di una nuova, difficile da decifrare. 

lunedì 9 dicembre 2013

Duri a morire

Certo che il neoliberismo e le sue istituzioni fondanti sono curiose: quando possono millantare di essere il 'pensiero unico', via esclusiva per sviluppo e ricchezza, subiscono violentissime contestazioni planetarie - vedi il movimento no global, nelle sue innumerevoli sfacettature - quando invece la crisi economica dimostra senza appello il loro fallimento (almeno per quanto riguarda i fini dichiarati; oggi i paladini del neoliberismo se la passano bene come non mai) rialzano prepotentemente la testa. 
Venerdì scorso c'è stato un annuncio storico che, in altri tempi, avrebbe provocato proteste oceaniche: il WTO, l'organizzazione mondiale per il commercio, è giunto a un'intesa storica sul commercio globale, persino Cuba ha lasciato cadere il diritto di veto.
Come è stato possibile? Probabilmente la risposta si trova nelle parole del viceministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda. "Le misure di facilitazione degli scambi commerciali - osserva Calenda - rappresentano una straordinaria opportunità per crescere. Le stime commissionate dal WTO sul potenziale di crescita del pil mondiale derivante dai  capitoli negoziali effettivamente chiusi a Bali, infatti, parlano di un incremento di più di 1.000 miliardi di dollari" (più o meno l'1,5% del pil mondiale).
Forse la ragione sta tutta qui: tirare a campare. Per quanto dovrebbe essere assurdo parlare di crisi quando - numeri alla mano - ci troviamo nel momento di maggior ricchezza monetaria della storia umana, il sistema capitalista, al pari di una cellula tumorale, non può smettere di crescere. In questa situazione, una moltitudine eterogenea, che va da disoccupati fino a uomini di governo incapaci di trarre un ragno dal buco, probabilmente appoggerebbero qualsiasi provvedimento che permettesse di rilanciare la crescita. Sarebbe bello ovviamente sapere quale tipo di distruzione ambientale e sociale provocheranno le 'facilitazioni commerciali', ma quello lo scopriremo ovviamente sulla nostra pelle.
Sembra inevitabile: il neoliberismo alla fine vince sempre, l'importante è parlarne poco, tenere un profilo il più basso possibile, non come nel periodo 1999-2006, quando occupava le prime pagine dei giornali ed era sulla bocca di tutti.
Basta tirarlo fuori al momento opportuno. Ecco quindi che Matteo Renzi, prevedibile trionfatore delle primarie del PD, dopo una campagna elettorale basata sul nulla (il fare, la rottamazione, il merito) tira fuori degli argomenti davvero politici, che ha pensato bene però di NON farne un vessillo al momento di ricercare voti:
  
"Dimostreremo che non è vero che l’Italia e l’Europa sono state distrutte dal liberismo ma che al contrario il liberismo è un concetto di sinistra, e che le idee degli Zingales, degli Ichino e dei Blair non possono essere dei tratti marginali dell’identità del nostro partito, ma ne devono essere il cuore" 

In effetti si possono fare molti parallelismi tra Renzi e il primo Blair: in entrambi i casi abbiano una faccia giovane e carina per coprire un'ideologia putrida. Vedremo se, al pari di Blair, quando sarà vecchio e cinquantenne, il buon Matteo si auto-rottamerà e chiuderà degnamente la carriera da dipendente lautamente stipendiato del potentissimo Carlyle Group. 





mercoledì 20 novembre 2013

Comunisti del terzo millennio

Invece del congresso del PD, dominato attualmente dall'incontro di wrestling D'Alema-Renzi, può essere più interessante prestare attenzione al congresso di un partito decisamente minoritario, cioé Rifondazione comunista, che anch'essa deciderà in dicembre il suo segretario. 
Il congresso presenta tre mozioni le quali sostanzialmente condividono, a parte i toni più o meno critici verso la dirigenza uscente, le medesime posizioni:

- la sconfitta elettorale di Rifondazione è direttamente proporzionale alla crisi del capitalismo;
- il capitalismo si trova in una fase di crisi sistemica e definitiva, le profezie di Marx si sono avverate, l'unica alternativa è il socialismo;
- l'attuale Unione Europea è uno strumento per la diffusione autoritaria di politiche neoliberiste;
- è necessario riproporre un partito comunista di massa della classe operaria e radicarsi nei luoghi di lavoro;
- bisogna riconvertire ecologicamente l'economia attraverso l'intervento pubblico e/o il controllo diretto da parte dei lavoratori.

 E' difficile trovare la parola giusta per indicare il modo in cui rifondaroli, partendo da analisi sostanzialmente corrette, sbaglino poi quasi tutte le conclusioni. L'unica forza politica ancora dichiaratamente marxista (insieme ai fratelli-rivali del PDCI) forse dovrebbe per prima cosa mettere in discussione un sistema di analisi, quello di Marx, che probabilmente non è soltanto "sempre valido, ma da adattare al tempo presente". Ragionare in termini di 'classe' dei lavoratori come 30-40 anni fa ha ancora senso? Come mai le lotte popolari attualmente più agguerrite, quelle contro la TAV e il MUOS - citate in tutti i documenti - non vengono prese come punto di riferimento di un nuovo modo di analizzare la società? Forse perché esulano dalla normale dialettica capitale-lavoro? 
E che dire dell'ecologia? Essa viene risolta semplicemente come un problema tecnico, proponendo una riconversione industriale basata sulla proprietà statale o l'autogestione operaia. Tutto qui? Basta veramente così poco? Basta espropriare l'ILVA alla famiglia Riva per renderla pulita? Forse il problema è più complesso, e bisognerebbe investigare più a fondo su quali basi si può realmente edificare una società ecologica. Forse non basta una riconversione industriale, forse bisogna andare al di là delle soluzioni tecniche.
Un ultimo fatto che accomuna tutti e tre i documenti è la critica a ricette di tipo keynesiano-socialdemocratico per far ripartire l'economia. Non si può che assentire, peccato però che tutta l'analisi successiva verta sulla sulla necessità di rilanciare la domanda interna, e non sia dedicata neppure una riga di critica al consumismo.
Forse per i 'comunisti del terzo millennio' occuparsi di decrescita o economia stazionaria è troppo complesso, ma quantomeno potrebbero riprendere in mano Marcuse, Pasolini, Baudrillard. Prima che qualche dialettica storica, prima ancora delle urne elettorali, li faccia sparire per sempre.  



lunedì 4 novembre 2013

L'intellettuale Grillo e il comico Scalfari

Forse non sarà un pennivendolo, ma sicuramente Eugenio Scalfari fa parte della vasta schiera di persone sopravvalutate di qualsiasi campo, giornalistico e non. Il suo recente editoriale anti-Grillo è semplicemente delirante, anche perché si potrebbero fare così tante osservazioni a Grillo e al M5S che si potrebbero dire cose giuste anche dandoci a caso . Invece Scalfari è riuscito nell'impresa di fare un percorso netto di idiozie.
La veemente reazione scalfariana, si badi bene, è in risposta a una delle poche critiche argomentate che il comico genovese ha ultimamente espresso, riguardo cioé il destino del nostro paese con l'applicazione del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) e del Fiscal Compact: numeri alla mano, ciò significherebbe ogni anno una manovra correttiva da cinquanta miliardi l'anno, dopo la quale l''austerità' sembrerebbe in confronto un veglione di Capodanno. 
Se Scalfari fosse una persona informata, questa accusa di Grillo si sarebbe rivelata un potentissimo boomerang, ricordando ad esempio che il M5S, dopo tante chiacchiere sulla rinegoziazione del debito, nei fatti a Parma - dove è in carica la più importante amministrazione governata dal M5S - ha applicato una politica di rigore degna del peggior Monti. 
Ma Scalfari evidentemente informato non è, e ha reagito attraverso l'argomento di chi non ha argomenti: l'insulto, che ironia della sorte si pensava essere prerogativa del genovese (il quale per la verità l'insulto lo usa spesso per rovinare i propri argomenti). Ecco quindi che il dittatore Grillo, in caso di vittoria alle europee, ci porterà alla rovina, mentre invece, Cassandra-Scalfari dixit "la ripresa sarà lenta ma comincerà certamente nel 2014".
A differenza di Grillo, non mi piace fare ironia sugli anziani e le loro capacità intellettive, anche perché non ho mai apprezzato Scalfari neppure da giovane. Detto questo, se non si è esattamente dei ragazzi o non si è particolarmente informati sui cambiamenti tecnologici, bisogna stare molto attenti a parlare di tecnologia, specialmente se la tua opionione sarà pubblicata su di un quotidiano nazionale a grandissima distribuzione; altrimenti si rischia veramente di diffondere sciocchezze. Di palla in frasca, pago degli improperi su Grillo, Scalfari decide di affrontare il delicato discorso del Datagate spiegandoci come, in realtà, non esista alcuno scandalo Datagate: "Il Datagate mondiale non è stato che l'insieme di queste interconnessioni, alle quali si aggiunge un' altra rete che è quella di Internet. Queste due tecnostrutture ci portano ad una conclusione che non ci piace affatto perché coinvolge un diritto fondamentale: la «privacy»; che è stata infranta e insieme con essa quel tanto di libertà che ne deriva". Il Datagate quindi non esiste, è solo "l'insieme delle interconnessioni": il vero pericolo viene dalle (fantomatiche) 'reti locali' "Ricordo questo fatto [ lo scandalo delle intercettazioni illegali della Telecom] per dire che per un qualsiasi cittadino può essere molto più pericoloso per la sua privacy la rete locale che lo registra che non quella americana o cinese o indiana che dispongono anch' esse di quella conversazione. Che cosa volete che me ne importi se la National Security Agency può accedere alle mie conversazioni? Non le ascolterà mai, non sa neppure chi sono. Se non ho fatto alcuna azione contro la sicurezza pubblica. Potrò essere invece ascoltato da un Pollari di turno che sa benissimo qual è la mia professione e che può avere sotto gli occhi le mie conversazioni per sessant'anni con capi di partito, capi di imprese, di associazioni, di governi. Questo avviene in ciascun Paese e i mediatori di queste compravendite di conversazioni non fanno altro mestiere che quello di raccogliere materiali potenzialmente ricattatori sulla vita privata di persone che abbiano avuto un peso nella vita pubblica del Paese. Conclusione: il Datagate abolisce la privacy, le reti locali sono le più temibili per i cittadini comuni, quella generale può esercitare interventi di difesa antiterroristica e/o spiare capi di Stato, di governo, di multinazionali"
No Eugenio, no. Non stanno così le cose. Questa non è 'violazione della privacy' è spionaggio, che è una cosa un pochino diversa. Il cellulare di Angela Merkel non veniva intercettato per scoprire dove va in vacanza o cosa mangi al ristorante, ma per altre ragioni, non credo per "interventi di difesa antiterroristica".  E poi chi sono i "mediatori di queste compravendite di conversazioni non fanno altro mestiere che quello di raccogliere materiali potenzialmente ricattatori" attivi addirittura in "ciascun Paese"? Scalfari sa qualcosa che noi non sappiamo forse?
In questa perla di editoriale, l'ex direttore di Repubblica dice: "Di solito tendo all' ottimismo della volontà e della ragione, che unifica la dicotomia di Gramsci". Io invece, riprendendo l'autentico Gramsci, leggendo certi articoli, non posso che tendere al pessimismo della ragione, cercando di tenere alto il morale della volontà.

lunedì 14 ottobre 2013

Fronte Nazionale e irrazionale

A quanto pare, sondaggi alla mano e dopo il successo elettorale nelle municipali di ieri, il Fronte Nazionale di Marie Le Pen, formazione "gollista e patriottica" (guai a chiamarla di estrema destra, arrivano querele) si appresta a diventare il primo partito francese. 
Nulla di nuovo sotto il sole, l'estrema destra (ops!) storicamente ha sempre avuto momenti di grande ascesa nei periodi di crisi economica. Specialmente sul Web, sono in molti a vedere nella 'rivoluzione conservatrice' di questi movimenti di destra più o meno simpatizzanti del fascismo una risposta 'solida' contro la globalizzazione neoliberista e il predominio di istituzioni sovrannazionali come la UE a guida tedesca. In realtà, dietro questa parvenza anti-sistema, l'estrema destra rappresenta la forza pro-sistema e soprattutto pro-capitalista per eccellenza.
Karl Polanyi notò che la promessa economica del nazi-fascismo era di emancipare il capitalismo dalle sue crisi cicliche, al modico prezzo della libertà.  Oggi la Le Pen - e con lei Casapound e tutte le realtà affini - fa un discorso un filo più elaborato:  il sistema funziona ma ogni volta c’è un elemento parassitario , emigrati, banchieri, complotti demo-pluto-giudaici… che rovina tutto. Basta confondere le cause con le conseguenze e il gioco è fatto, né più né meno. 
Alla fine il vero merito del Fronte Nazionale rispetto alle forze politiche apologetiche del pensiero unico è quello, se non altro, di constatare una verità, ossia che si sta razionalmente marciando verso il disastro. Un disastro a cui la nuova (?) destra pensa di ovviare con soluzioni irrazionali, irrealistiche o al più con soluzioni peggiori dei mali. E' questo il meglio che può offrire la politica elettorale?

venerdì 4 ottobre 2013

Urlo nel silenzio

Tra gli indecenti appelli al silenzio di Alfano e le sproloquiare leghista, è molto difficile trovare il giusto modo giusto per affrontare la tragedia del mare di ieri. Forse ci vorrebbe un dignitoso silenzio, anche perché parlare dopo suona sempre fuori luogo. Tuttavia, per non stare completamente zitto, propongo un articolo sulle migrazioni che scrissi qualche tempo fa su Decrescita Felice Social Network e le cui argomentazioni, alla luce anche del massacro di Lampedusa, mi sembrano più attuali che mai. 

domenica 22 settembre 2013

Giù le mani dai NO TAV

Prima o poi doveva capitare, era inevitabile. Le BR, vecchie o nuove che siano, hanno da sempre l'abitudine di attaccarsi come parassiti a tutto ciò che è vitale e vigoroso, per succhiarne l'energia distruggendo l'organismo ospite senza in cambio ottenere granché. Come novelli Re Mida, tutto quello che toccano lo trasformano in merda. 
Adesso vogliono provarci con i NO TAV, ossia con un movimento realmente di popolo - cosa a cui le BR, veri e propri radical-chic dal grilletto facile, non hanno mai assomigliato lontanamente - osteggiato dai due maggiori partiti, espressione delle lobby legate alla costruzione di questa opera inutile, capaci solo di presentare i propri contestatori come il peggiore dei mali del mondo. L'attestato di simpatia delle BR è la classica ciliegina sulla torta per infangare definitivamente il movimento.
Il movimento NO TAV, con la sua azione dal basso, in questi anni si è dimostrato un baluardo di democrazia, una ripresa di coscienza contro l'espropriazione dei cittadini dal controllo sulla propria comunità.Il verticismo criminale delle BR e quello burocratico dei partiti politici rappresentano due lati della stessa medaglia, della stessa oppressione. Come le BR militarizzavano la militanza politica svuotandola di qualsiasi significato ideale, oggi le forze politiche militarizzano il territorio e attraverso l'esercito mascherano la loro totale sudditanza ai potentati economici, nonché l'assenza di qualsiasi progettualità che vada oltre la riproposizione di vecchi e logori assunti sulla crescita. 
In un contributo pubblicato sul sito Web del movimento, i NO TAV hanno ancora una volta indicato la via da seguire:
"Servono narrazioni nuove che sappiano costruire ragionamenti liberi. Servono ancora di più iniziative, dibattiti, lotta, che aiutino il movimento no tav a resistere e a vincere. Serve oggi più che mai l’energia di quanti hanno conosciuto questo problema e oggi si sentono no tav. Ancora una volta serve ripartire e rispondere con la pratica dei gesti quotidiani, una parola detta a chi ancora non è informato, una marcia contro il cantiere, un’assemblea, una semplice bandiera no tav appesa al balcone di casa".


domenica 15 settembre 2013

L'inizio o la fine

L'invio di navi da guerra cinesi nel Mediterraneo segna probabilmente l'inizio di una nuova era nelle relazioni internazionali, dove la Cina si eleva definitivamente a superpotenza planetaria quasi pari agli Stati Uniti: manca solo di condividere il privilegio di disporre di stabili basi militari fuori dal territorio nazionale. 
Se questo intervento servirà, come pare, ad evitare una guerra in Siria o in altre parti del mondo, ciò è solo positivo. Tuttavia è bene riflettere seriamente sugli scenari che si aprono dopo il consolidamento dell'alleanza Cina-Russia, soprattutto se ciò porterà a un rafforzamento delle relazioni USA-Unione Europea, un pericoloso risiko di alleanze nel secolo che sarà segnato dalla crisi ecologica e dal picco del petrolio e delle materie prime. Probabilmente sarà fondamentale la posizione europea, se si appiattirà sulla politica estera statunitense oppure se sarà capace di farsi mediatrice tra le potenze.
Quel che è certo, però, è che nessuna delle nazioni coinvolte è in grado di affrontare le sfide difficili che l'umanità si trova ad affrontare, possono al più agevolare o evitare un'apocalisse atomica. Che non è cosa da poco, ma ciò significa che sono i popoli del mondo padroni del loro destino, per quanto alla mercé dei rispettivi governi. Perché questo secolo non sarà il secolo cinese o del declino dell'Occidente, ma quello della sopravvivenza della civiltà o dell'emergere definitivo della barbarie.

martedì 27 agosto 2013

Biancaneve, Cappuccetto Rosso e la guerra

E' arrivato il momento della guerra alla Siria, a quanto pare. Il ministro degli esteri Bonino ha già dato la disponibilità all'attacco, ma solo sotto l'egida dell'ONU. Il solito film già visto, con la differenza che Kerry, a differenza di quanto fece Powell nel 2003, non ha presentato fialette o qualche altro genere di 'prova'. Del resto, recitano fonti USA, "ci sono pochi dubbi" sull'impiego di armi chimiche e, insiste Kerry, l'uso dei gas è "un'offesa a tutta l'umanità".
Ragioniamo dando per scontato che le accuse siano vere, regredendo quindi a un'ingenuità livello Biancaneve e Cappuccetto Rosso. Vuol dire che ammazzare gente con armi più convenzionali è invece un segno di rispetto per l'umanità? E perché poi dovrebbero farsi paladini gli USA di questa crociata anti-Assad?
Nell'efficiente mentalità anglosassone, chi sbaglia paga. E gli USA meno di dieci anni fa hanno preso un abbaglio enorme - stanno sempre ragionando  Biancaneve e Cappuccetto Rosso, ricordiamo bene - nel ritenere l'Iraq di Saddam Hussein in possesso di armi di distruzione di massa e nel muovergli guerra. Sarà prevista qualche penalità, in caso di nuovo buco nell'acqua?
Neppure Cenerentola e Biancaneve potrebbero pensarlo. Chissà se per l'imminente guerra in Siria si formerà un imponente schieramento pacifista, come quello che nel 2006 il New York Times definì "la seconda potenza mondiale dopo gli USA". Visti i precedenti del recente attacco in Libia, si direbbe che nell'Europa martoriata dalla crisi c'è poco da sperare, abitata com'è da persone troppo concentrate sulla sopravvivenza quotidiana. Ci chiamavano 'anime belle' i nostri detrattori, adesso invece sembra che siamo 'maturati', cinici e distaccati al punto giusto, in attesa di esultare per il prossimo decimale di PIL che segni l'uscita dalla repressione e, per dirla alla Letta, l'arrivo nell'agognata Terra Promessa. E' un vero peccato perché, se dessimo uno sguardo alla piazza, troverebbero Biancaneve e Cappuccetto Rosso a manifestare. Forse la loro l'anima non è più  bella, ma almeno ce l'hanno ancora.

lunedì 12 agosto 2013

Dura lex, ma inutile

La reazione maggioritaria alla tradegia del ragazzo quattordicenne romano suicida per le molestie a sfondo omofobo è stata quella di sollecitare con urgenza l'approvazione della legge contro l'omofobia, che rischia di essere affossata per le riserve del centro-destra. Finché questa posizione viene dai politici, posso comprenderla: lo Stato può limitarsi solo a sanzioni e prescrizioni negative non può fare, è implicito nella sua mission. Ma che la società civile aspetti questo provvedimento legislativo come una panacea francamente lo trovo sconcertante, è ignorare la storia.
Nel 1996, ad esempio, finalmente venne varata una nuova legge contro lo stupro e la violenza sessuale, che venivano trasformati da reati contro la morale a reati contro la persona; da allora i condannati per tali crimini subiscono una pena più equa, ma la situazione non è migliorata affatto, come testimonia il drammatico fenomeno del femminicidio - per il quale a sua volta si richiede una legge speciale, senza capire come questa aggravante possa avere qualche valore per una donna uccisa e un omicida che spesso si toglie a sua volta la vita.
Se esistono leggi contro la violenza sessuale, l'istigazione razziale, la negazione dell'Olocausto ecc. è perché esistono il maschilismo, il razzismo, l'antisemitismo, tutte situazioni che non si risolvono e tantomeno si tamponano con una maggiore permanenza in galera o sanzioni pecuniarie. Il cambiamento culturale non può arrivare dallo Stato, ma solo dal tessuto sociale. E se esistono delle situazioni di conflitto nella società, invece di soffocarle aumentando solamente i rancori si potrebbe cercare di favorire un dialogo opportunamente sorvegliato per evitare che i toni forti possano degenerare in violenza. 
Forse sarebbe il caso di far parlare la maggioranza 'silenziosa' (e sicuramente ignorante) e ascoltare i loro argomenti. Se si lasciasse parlare David Irving e i vari storici negazionisti, li si potrebbe pubblicamente confutare, oppure capire se veramente hanno qualche argomento valido; si potrebbero sentire le ragioni di chi sostiene misure di discriminazione sessuale o razziale e, nell'incapacità di sostenere argomentazioni in un contesto democratico, sarebbero palesi i pregiudizi spacciati per dati 'atavici' e 'naturali'.
Non vorrei piuttosto che l'urgenza di tutte queste leggi derivasse dall'incapacità di confrontarsi di gente che, di fronte a grandi bugie, sia buona solo a sciorinare delle mezze verità; dalla sfiducia nel dibattito e nel confronto, sale della democrazia, in favore di un repertorio preconfezionato di opinioni politically correct. Il classico atteggiamento di idealisti disillusi, per intenderci, che non credono più nei loro stessi valori. 
Ho seri dubbi sul fatto che, se fosse già stata in vigore la legge in discussione in Parlamento, quel ragazzo romano sarebbe ancora vivo. Se avesse trovato sollievo in qualche soluzione legale avrebbe comunque potuto trovare diversi appigli nelle normative già previste. Quello che voleva era solo un ambiente più aperto e più umano, cosa che nessuna legge avrebbe potuto mai garantirgli. 

martedì 30 luglio 2013

La Terra Promessa e l'Isola che non c'è

Non è assolutamente il caso di dedicare un blog alle sparate dei politici, si correrebbe il rischio di dover rimanere connessi 24 ore su 24 postando robacce. Ma quando abbandonano i tradizionali toni della polemica spiccia e campanilistica per usare quelli visionari e profetici, allora siamo di fronte a dichiarazioni mirabili che non si possono ignorare.
Ieri Enrico Letta, nella conferenza stampa tenuta ad Atene insieme al premier greco Samaras, si è prodotto in uno slancio dialettico degno di un membro del Bilderberg: "Deve essere chiaro che i sacrifici non sono sacrifici fini a se stessi, non sono l'obiettivo, ma lo strumento per arrivare alla terra promessa'', e alla oramai sorpassata triade 'libertà, uguaglianza, fraternità' della rivoluzione francese ne ha sostituita un'altra basata su crescita, lavoro, stabilità.
Probabilmente neppure Hitler, Mussolini, Stalin o Mao sono riusciti a condensare tanta ideologia in così poche parole, rivolte per altro a persone che evidentemente devono soffrire di qualche grave forma di sindrome di Stoccolma, stato psicologico che porta una persona vittima di abusi a provare simpatia per i propri persecutori. 
Sul perché dovremmo amare la crescita, cioé il PIL, ci sono intere schiere di economisti di ogni orientamento a spiegarcelo, dai neoliberisti più estremi ai keynesiani più accaniti, attraverso delle tautologie che non reggoni a un minimo di esame critico ma, proprio perché tautologie, sono vere a prescindere. Ma il lavoro? Perché la gente dovrebbe voler lavorare nella Terra Promessa in cui il novello Mosé ci vuole condurre? Ok, non ha promesso il paradiso terrestre, ma forse per la gente comune, costretta a ritmi di lavoro infernali o al contrario ad elemosinare un lavoro, non sarebbe meglio preconizzare una riduzione del lavoro attraverso un massiccio ricorso a macchine e computer?
Ma il più sensazionale è sicuramente l'ultimo appello, quello alla stabilità. "Voglio rifugiarmi sotto il Patto di Varsavia con un piano quinquennale e la stabilità", cantava negli anni Ottanta una strofa di una canzone della punk band CCCP, ma si trattava di satira politica. Qui invece Letta, in una dichiarazione congiunta al popolo italiano e a quello greco, annuncia solennemente il diritto divino della casta dirigente a perpetuarsi, 'stabilizzandosi' attraverso strumenti quali il presidenzialismo e l'accentramento dei poteri nelle mani del governo. Almeno nella Terra Promessa biblica ci furono ribellioni a Saul e alla dinastia davidica.
Bisogna apprezzare la sincerità di Letta - o forse la sua incapacità a parlare a platee diverse da quelle dei poteri forti internazionali - per aver chiarito espressamente, senza false retoriche, i motivi reali per cui i popoli europei dovrebbero svenarsi. Bisogna essere lieti del fatto che il nostro premier non abbia speso parole per concetti futili e dannosi per lui e chi lo sostiene, quali un ambiente ecologicamente sano, una maggiore giustizia sociale, una vita più parsimoniosa ma svincolata dalla dittatura volubile del lavoro, e prenderne atto. Certo significa assumersi dei gravi rischi, ad esempio di essere tacciati per terroristi - in Val di Susa ad esempio, si stanno violando pesantemente crescita, lavoro e stabilità, e quindi scatta inevitabile la punizione. Ma la violenza non c'entra assolutamente nulla.
Molto pacatamente si tratta di spiegare a Letta e a tutti i suoi accoliti che noi, della nuova triade di valori, non sappiamo cosa farcene: saremo conservatori e obsoleti, ma ci riconosciamo ancora in quella di duecentoventuno anni fa. Alla Terra Promessa preferiamo l'Isola che non c'è.

martedì 23 luglio 2013

La goccia e il vaso

Esiste un motivo per cui degli Stati capaci di chiedere ai propri funzionari di compiere atrocità terribili, anche pubblicamente, chiedono la testa di ministri che commettono leggerezze quali non pagare i contributi alla governante e simili. Lo Stato-nazione, contrariamente ai tanti che ritengono la sua esistenza 'naturale' e 'atavica', è in realtà un misto di utopia e di coercizione, essendo l'unica forma di associazione umana obbligatoria. Hobbes, Locke e Rousseau hanno legittimato la sua esistenza parlando di un misterioso 'contratto di sociale' di cui nessuno ha mai trovato traccia, e che comunque non potrebbe impegnare in eterno anche le generazioni future del tutto ignare di questo accordo.
Lo Stato-nazione si fonda sull'idea per cui i membri dell'entità statale non solo riconoscono tra di loro una comunanza culturale, ma pensano che questa abbia anche risvolti politici ed economici: per tale ragione, gli abitanti di Corsica e Sardegna ad esempio devono sentirsi separati tra loro - per quanto le coste delle due isole siano visibili a occhio nudo - e provare invece una comunanza con Parigi e Roma.
Se viene meno questa credenza, crolla di colpo tutta l'impalcatura ideologica di legittimazione. Succede come a un cristiamo che, da un giorno all'altro, smettesse di credere in Dio: Papa, cardinali, vescovi, Vaticano ecc. che prima avevano un significato profondo, diventerebbero solo inutili e costosi orpelli burocratici. Né più né meno accadrebbe per Presidenza della Repubblica, Parlamento, Governo e quant'altro.
Quando i politici dimostrano 'senso dello Stato' dimettendosi in seguito a scandali ed errori, di fatto compiono un'importante opera di propaganda, che a poco che fare con l'etica. Il famoso caso Watergate, che vide implicato Richard Nixon, non fa eccezione: rispetto ai crimini commessi - basti pensare all'eliminazione anche fisica di dissidenti politici attraverso il programma segreto COINTELPRO o i bombardamenti del Laos e della Cambogia - aver piazzato qualche cimice nei locali di una convention dei Democratici è come fare un piccolo taccheggio al supermercato.
Per tornare alla cronaca degli scandali recenti, è evidente che ad Alfano, Berlusconi e al PDL in generale frega poco dello Stato, sono evidentemente altre le loro priorità. Eppure, come Napolitano sicuramente saprà, stanno tutti pericolosamente giocando con il fuoco. Non è ideale provocare una popolazione spremuta sempre di più dalle tasse e dai tagli, che vede il proprio voto elettorale distorto in nome dell'obbedienza a potentati sovrannazionali, e a cui una casta privilegiata senza pudore di rinunce impone  arrogantemente sacrifici. Non siamo alla vigilia della Rivoluzione francese, ma un profondo senso di disgusto e indignazione cova già da tempo, e nessuno può sapere che forme può prendere.

martedì 16 luglio 2013

Politically uncorrect

Il 'politically correct' è una terribile gabbia intellettuale che di fatto ammazza la politica e qualsiasi in dialettica in genere. Nato per nobili ragioni, è stato abilmente trasfigurato in un arma per zittire i propri avversari e ignorare in toto quanto avevano da dire solo per una parola o un'espressione infelice; i mass media sono i campioni di questa censura culturale, ed è stata un'abile stratagemma da impiegare contro persone 'scomode' ad esempio come Beppe Grillo, le quali per altro sono sempre abbastanza tonte da ricadere in questo tranello. Non c'è comunque nulla di peggio della censura che si ammanta di idealismo.
Tuttavia, ancora peggiore del politically correct è la scorrettezza politica a prescindere, quella che molte realtà dichiaratamente 'ribelli' e 'dissidenti' stanno utilizzando in questi giorni per difendere le affermazioni razziste contro la Kwenge o le minacce a Mara Carfagna non tanto perché le si condivide, quanto perché è un dovere parlare sempre a rovescio del 'potere'.
E' vero, il grado di strumentalizzazione è enorme, ma la denuncia di questa strumentalizzazione non può risolversi in una legittimazione di chi accusa insensatamente sul piano personale. Per altro la pochezza intellettuale della Carfagna o Kwenge è tale che non serve davvero insistere polemiche insensate e irrispettose.
La verità purtroppo è che molti 'dissidenti' e 'ribelli' hanno fatto propria la lezione di Berlusconi di parlare 'pane al pane vino al vino', sul fatto che gli uomini 'veri' non hanno rispetto per niente e nessuno. A queste persone consiglio di seguire un motto di Gian Piero Alloisio spesso citato da uno dei  loro idoli, Massimo Fini: "Io non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me".

lunedì 8 luglio 2013

Detto e non detto

Dai gesti simbolici, proprio perché tali, non bisogna attendersi rivoluzioni epocali, il che non significa che non siano importanti. Papa Francesco dal primissimo momento del suo pontificato ne ha fatto tantissimi, cosa che ha diviso l'opinione pubblica tra chi vede in lui un riformatore spirituale epocale o un'intelligente foglia di fico sugli interessi economici del Vaticano.
Di tutti i gesti, la presenza fisica a Lampedusa, un luogo davvero dimenticato da Dio, è sicuramente il più rilevante. Non produrrà effetti concreti e forse non smuoverà più di tanto le coscienze che contano, ma se non altro ha portato sollievo e conforto, almeno per il momento.
Ovviamente, quando Bergoglio dice "Sono qui per risvegliare le coscienze. No alla globalizzazione dell'indifferenza. Mai più morti in mare", il rischio è che il pontefice si strumentalizzi da solo. Perché staccare due temi indissolubilmente legati - migrazioni dei disperati e globalizzazione neoliberista - significa più o meno involontariamente legittimare il sistema produttore di disumanità e ingiustizia; lo stesso vale gli appelli del presidente della Camera Boldrini a "rafforzare il soccorso in mare" e a "riaffermare i valori universali". Difficilmente un sistema di sfruttamento può ammettere una migrazione dal volto umano, sempre ammesso che lo sradicamento di interi popoli per capricci finanziari lo possa mai consentire
Sia Bergoglio che la Boldrini devono dimostrare con i fatti di non essere semplicemente il rovescio della medaglia dei siluramenti dei barconi di Borghezio. Anzi, se si condive l'attuale sistema economico-politico globale - quello che i mass media fanno filtrare attraverso slogan come 'concorrenza' e 'libertà dei mercati' - la proposta del leghista è sicuramente più coerente, una soluzione disumana per un problema disumano.
Il Vaticano di Francesco e lo Stato della Boldrini sono alleati e complici di gran parte dei potentati che producono quelle situazioni che fanno di Lampedusa una gigantesca metastasi sociale. La denuncia di un crimine, per quanto sincera e appassionata, è poca cosa se non comprende anche i suoi per nulla misteriosi responsabili. Forse per i vari pontefici e statisti è arrivato il momento di dire tutto, o tacere per sempre.

lunedì 24 giugno 2013

Sesso istituzionalizzato

Di fronte a donne che rischiano la vita per strada sotto gravi condizioni di sfruttamento, bisogna abbandonare ogni moralismo e  affrontare invece la questione prostituzione sul piano etico. Siccome la vita di ogni essere umano è superiore a qualsiasi prurrito del buoncostume, bisogna favorire in tutti i modi le soluzioni che eliminino i rischi più gravi; saranno d'accordo anche i cattolici più intransigenti, se veramente fanno proprio l'appello di Papa Francesco "La vita è valore sacro che va difeso sempre".
Ne consegue quindi che la proposta di legge della senatrice PD Maria Spilabotte di legalizzare la prostituzione in casa (nulla a che vedere con i quartieri a luci rosse, che mi vedono fortemente contrario) va assolutamente condivisa anche se le motivazioni sembrano piuttosto di natura economica, dato che puntano a introdurre la partita IVA e a creare di un apposito libretto di lavoro. Dopo il lotto e il gioco d'azzardo, la prostituzione diventerebbe un'altra fonte di introiti dello Stato. 
Di per sé non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che inserire anche il sesso nel tritacarne burocratico dello Stato, insieme alla salute ed altri aspetti dell'intimità personale, desta abbastanza preoccupazione, perché saremmo ben oltre la mercificazione del corpo.
Lo Stato in materia di rapporti sessuali dovrebbe interessarsi esclusivamente del fatto che le persone interessate siano consenzienti  e capaci di intendere di volere, in caso contrario non posso sussistere condanne penali o provvedimenti amministrativi. Gli eventuali scambi di denaro devono riguardare solamentee le persone coinvolte, quindi né papponi né l'agenzia dell'entrate. Quando si parla poi di controlli sanitari sulle prostitute, si introduce anche la possibilità di stabilire se una persona è abile o meno ad atti sessuali, aprendo la strada al peggior controllo totalitario sui corpi.
Certo il motto del Papa a questo punto vale anche per me, quindi se la proposta della Spilabotte è l'unico modo di arginare sfruttamento e violenza, che sia. Ma non posso fare a meno di pensare che lasciare la libertà di prostituirsi in casa senza oneri e benefit da parte dello Stato sia la soluzione migliore.
Qualcuno obietterà sul fatto che la mia idea è discriminatoria nei confronti delle sex workers, perché le differenzia dalle altre lavoratrici. A parte il fatto che esonerarle dall'oppressione burocratica statale agevolando la possibilità di creare reti di mutuo soccorso e auto-aiuto sembra più un privilegio che una condanna, esistono ambiti fche il controllo statale non deve valicare, anche se di queste 'terre vergini' - ironia involontaria - ne restano sempre meno. 
In realtà la sfida di mantenere informalità, sicurezza e dignità riguarda ben altre questioni oltre la prostituzione. E che con ogni probabilità sono affrontabili solo da una società cosciente, e non dal potere normativo dello Stato.

lunedì 17 giugno 2013

La guerra di Enrico

Non giriamoci troppo intorno: l'annuncio del premier Letta di mantenere l'impegno del 3% nel rapporto defict/Pil, volto a rassicurare i potentati europei e internazionali alla base della sua nomina a presidente del consiglio, equivale a una dichiarazione di guerra all'Italia e ai suoi cittadini. Con i tassi di crescita inevitabilmente asfittici o addirittura negativi che si profilano, il rispetto del vincolo europeo può solo tramutarsi in esproprio della ricchezza del paese a vantaggio di quelle ristrettissime lobby che speculano sul debito pubblico italiano, gravato da interessi da usura. 
Deve essere questa la ragione per cui il governo insiste sulla necessità di favorire un minimo di politiche giovanili, così come il redivivo Marchione, che fino a qualche tempo fa sproloquiava sulla necessità della fusione tra FIAT e Chrysler (in pratica sul trasferimento della produzione italiana in USA) oggi parla di 'piano Marshall dell'Italia', come se fosse tanto stupido da non capire che più di qualche limatura sulla fiscalità del lavoro non ci si può attendere. Sanno che sta per arrivare una situazione tale da mettera a dura prova quel che resta del tessuto sociale, che potrebbe avere ripercussioni gravissime e spingere alla reazione persino un popolo apatico come il nostro.
E' davvero interessante fare un parallelo tra la nostra crisi, per mancanza di crescita, e quella turca, che invece si deva al motivo esattamente opposto - la crescita turca negli ultima anni è stata due volte e mezza quella della locomotiva Germania - dove si contesta il predominio dell'economicismo (in salsa islamica) su qualsiasi altra considerazione. Sono due facce della stessa medaglia, per quanto possano storcere il naso economisti liberisti "pro-austerità" e keynesiani per "più spesa per più crescita": rappresentano il fallimento di una società che ha elevato al rango di guida infallibile la scienza più astratta e dogmatica - l'economia - ai danni di ciò che era vero e tangibile - persone, ambiente, cultura. E come disse un giorno qualcuno che ci capiva, "un problema non può essere risolto dallo stesso atteggiamento mentale che lo ha provocato".


giovedì 6 giugno 2013

Presidenzialismo e barbarie

Secondo Lorenza Carlassare, docente universitario scelta tra i 35 saggi per la riscrittura della Costituzione, lo scopo che si propongono le cosiddette 'riforme' bipartisan e sostenute a spada tratta dal capo dello Stato - avremo addirittura un DDL del governo in materia - mirano a “delegittimare la Costituzione” e a dare un po’ di sostanza “a quella vena di autoritarismo che ci portiamo dietro da sempre".
La trasformazione in soli 18 mesi dell'Italia in una repubblica presidenziale non poteva essere descritta in termini migliori. Cosa si può dire del resto di un parlamento di nominati, che si eleva ad assemblea costituente malgrado una legge elettorale che persino la maggioranza dichiara vergognosa?
Un presidenzialismo, per altro, presentato come fondamentale 'per assicurare la governabilità', ma di cui non viene spiegata l'essenza più intima, se non limitandosi a vaghe rassicurazioni sul fatto che il Presidente sarà eletto direttamente dai cittadini.
Di fatto, in una repubblica presidenziale le figure di capo dello stato e capo del governo o coincidono, come negli USA, oppure si verifica la strana situazione semi-presidenziale francese, dove le due cariche sono distinte ma il presidente della repubblica eletto direttamente comanda per interposta persona, un po' come nell'antico Egitto accadeva tra faraone e visir. E, cosa che non viene mai detta, in una repubblica presidenziale il governo non è sfiduciabile e impronta enormemente l'azione legislativa. 
Ovviamente i benpensanti replicheranno che esistono nazioni presidenzialiste come gli USA, assolutamente democratiche ma, caso strano, non esiste un presidenzialismo puro da nessuna parte in Europa. La tanto osannata ed efficientista Germania, ad esempio, è una repubblica parlamentare né più né meno dell'Italia attuale; e gli USA sono uno stato federale, dove esistono numerosi contrappesi a livello locale dell'influenza del presidente. Nella versione italiana, invece, il presidenzialismo sarà un modo per applicare sulla popolazione quelle 'riforme' che questo ha sempre maldigerito, anche con azioni dirette come i referendum del 2011 su nucleare, legittimo impedimento e acqua pubblica. Con il presidenzialismo all'italiana, ben lungi dall'avere un 'uomo forte' al governo - il presidenzialismo era sempre stato del resto un cavallo di battaglia del vecchio Movimento Sociale - avremo la consacrazione dell'agenda Monti e Letta a unica politica nazionale, con il presidente eletto direttamente ridotto a semplice passacarte, per quanto 'unto dal popolo', degli ordini provenienti dai poteri forti europei e mondiali. Avremo insomma un governo più forte per una nazione più debole, priva di una delle poche cose di cui poteva andare fiera nel mondo: la sua costituzione repubblicana.

venerdì 24 maggio 2013

Eroi dello Stato che non c'è

Esistono tanti giorni 'speciali', dedicati a qualche tematica in particolare (ad esempio il giorno della memoria) e si dedicano minuti di silenzio in tantissime circostanze, spesso anche abbastanza discutibili; per Giovanni Falcone, così come per Paolo Borsellino, non accade nulla di tutto questo. In uno Stato 'normale' - ammesso che possa esisterne uno - si griderebbe allo scandalo, ma io penso che, per rispetto verso queste due grandi persone, sia meglio così. 
Nei confronti di chi si ha sacrificato eroicamente la sua vita per l'interesse generale solo una cosa è peggiore dell'oblio, la beatificazione ipocrita e strumentale. Quando a scuola mi trovo a parlare dei due magistrati provo sempre un grande imbarazzo, dovuto alla difficoltà di spiegare come 'l'uomo dello Stato' abbia potuto essere ucciso nonostante lo Stato, a causa dello Stato e - specialmente nel caso di Borsellino - per opera dello Stato. 
Nella loro ingenuità (per altro abbastana razionale), gli studenti difficilmente capiscono come lo Stato possa farsi guerra da solo. Così come faticano a comprendere perché il coraggioso magistrato sia 'uomo dello Stato' mentre il politico che ha fatto di tutto per rendergli la vita impossibile, spesso occupando le cariche maggiori della repubblica, non sia 'un vero uomo dello Stato'. Se poi provi a inserire il concetto decisamente ambiguo di 'Stato deviato', la reazione più probabile è un'incredulità generalizzata: alla fine si capisce che i veri 'deviati' sono coloro che hanno creduto nella Costituzione cercando di applicarne i principi anche quando lo Stato a cui avevano giurato fedeltà reagiva riottosamente e infastidito di fronte a tanto rigore. 
Intendiamoci per evitare equivoci: Falcone, Borsellino e molti altri eroi istituzionali credevano fermamente nello Stato e avevano messo tutta la loro esistenza al suo servizio, fino al sacrificio supremo. Non erano né anarchici né individualisti, sebbene lo siano dovuti diventare per proseguire nella loro opera di giustizia, ma loro storia sembra indicare che il perseguimento della giustizia attraverso lo Stato comporti trovarselo in qualche modo nemico. Una questione solo italiana? Difficile dirlo, forse è probabile che nel nostro paese venga amplificato un problema più o meno universale.
L'unica cosa sicura è che, se vogliamo preservare l'incolumità dei Falcone e Borsellino di oggi e domani - che, malgrado tutto, esistono ancora - la loro protezione deve consistere in una forte azione popolare: come ben aveva capito Falcone, si elimina la persona scomoda prima di tutto isolandola mediaticamente. A breve entrerà nel vivo il processo sulla trattativa Stato-Mafia degli anni anni Novanta, che persone molto in alto nella gerarchia del potere - tanto in alto da occupare anche qualche importante Colle - vorrebbero ridurre al silenzio, incredule sul fatto che lo Stato possa giudicare e condannare se stesso: non permettiamoglielo, facciamogli capire che lo Stato siamo (anche) noi, spesso nostro malgrado.

sabato 11 maggio 2013

Stelle cadenti?

Non è un mistero la mia insofferenza verso le critiche al M5S, specialmente per quelle 'di sinistra'. Per questa ragione non penso di essere etichettabile come prevenuto, 'troll' o peggio se illustro quelli che secondo me sono i veri punti critici del M5S e del Grillo-pensiero, cercando di proporre  considerazioni in qualche modo originali, che non siano le solite trite e ritrite da giornali e TV.
"Le idee non sono di destra o di sinistra, ma buone o cattive"
Possiamo (forse dobbiamo) discutere anche all'infinito sul superamento della classica dicotomia destra-sinistra, tuttavia distinguere le idee tra 'giuste' e 'sbagliate' significa semplicemente riproporre il solito refrain neoliberista per cui esistono misure 'economiche' o 'antieconomiche'; ricalca né più né meno il motto dell’ex cancelliere tedesco socialdemocratico Schroeder per cui la “politica economica non è di Destra o di Sinistra, ma buona o cattiva”. 
Ridurre la politica all'economia nquindi non è per nulla rivoluzionario, anzi. Se Grillo stesso chiede il referendum su alcuni temi, in passato per l'Euro oggi per il principio dello ius soli, forse è proprio perché la bontà delle idee non è così immediata e scontata.
"Per risolvere i problemi occorre gente onesta e capace"
Potremmo chiamarlo il 'teorema di Marco Travaglio'. Ritengo l'idea per cui tutti i nostri problemi siano dovuti alla corruzione e all'incompetenza molto reazionaria, perché di fatto salvaguarda il sistema scaricando ogni responsabilità su chi lo amministra. E' anche un ragionamento molto miope, perché non si chiede ad esempio se, in un'economia globalizzata fatta di flussi finanziari virtuali e di colossi economici che spadroneggiano incontrastati per il globo, forse corruzione e caste  neo-feudali  siano una conseguenza logica e inevitabile, non una stortura.  E' ovvio che bisogna combattere la corruzione e promuovere il merito - troppo ovvio: le tautologie e il buon senso non sono categorie politiche - ma occorre evitare di puntare il dito in un'unica direzione, solo parzialmente giusta.
"Uno vale uno"
Questo motto, che si propone come massima espressione di partecipazione democratica, in realtà la svuota di gran parte dei suoi contenuti. Anche nella democrazia rappresentativa tradizionale 'uno vale uno', il problema è che solo pochi di questi 'uno' possono realmente partecipare alla vita politica. Se la democrazia diretta si riduce a votare qualche proposta on line, alla fine hai leggermente migliorato il sistema politico tradizionale ma nulla più. Democrazia diretta invece significa innanzitutto agire direttamente.
Se poi usciamo dall'ambito meramente elettorale, 'uno vale uno' è semplicemente una solenne bugia. Non è così nella società reale - ma neanche in quella online: solo pochi 'uno' possono dedicare molto tempo alla pratica della Rete - e non è così nel M5S, non da oggi. Forse sarebbe bene distinguere il concetto di uguaglianza dei cittadini (per diritto e dignità) da quello di 'contare', altrimenti si raccontano solo favole per di più poco edificanti 

"Vaffanculo, punto g, zoccola, sono morti, Gargamella ecc."
Beppe Grillo è un comico che, come ama ripetere, si farebbe uccidere per una battuta. Non c'è nulla di male finché fai il comico, anche a scopo di promozione politica e sociale. Finché si tratta di satira, nei limiti del buon gusto, si possono fare abbondanti concessioni anche urtando le sensibilità altrui. 
Il problema però si presenta nel momento in cui Grillo si ritrova (suo malgrado?) a fare da punto di riferimento a un movimento politico. Come ha fatto giustamente notare Andrea Scanzi, quando i parlamentari del M5S provano a imitare Grillo, non solo non fanno ridere ma fanno figure pessime. Ma c'è di più: nel momento in cui Grillo parla da uomo politico, le battute (e le volgarità) hanno solo l'effetto di inficiare quanto di buono può essere stato detto, e non solo per la cattiveria e la faziosità dei media. Chiarelettere ha recentemente pubblicato un libro dove si trascrive una conversazione tra Grillo, Casaleggio e Dario Fo: ecco,  Fo può essere per Grillo un punto di riferimento importante per distinguere le forme della satira da quelle della militanza politica.

 "Il futuro della politica è la Rete"
Se il motto del M5S 'nessuno deve rimanere indietro'  è sincero, allora bisogna al più presto uscire dagli angusti canali digitali della Rete, pur mantenendola come mezzo privilegiato di informazione e organizzazione. Altrimenti potremo creare le più belle comunità virtuali del mondo, ma se il nostro peggior nemico è il vicino di casa, sarà alquanto difficile realizzare cambiamenti sociali significativi.

sabato 27 aprile 2013

Addio a tutto questo

Notoriamente è molto più facile criticare che fare autocritica, così come è noto che i blog a sfondo politico sono una sorta di nuovo tribunato della plebe digitale, da cui scagliare i propri strali contro i potenti di turno. E se poi Napolitano/Re Giorgio se ne esce con un discorso di reinsediamento a dir poco scandaloso (per non parlare della richiesta di "cooperazione" ai media affinché si dimentichino "le vecchie tensioni"), se la Serracchiani grida al 'miracolo' dopo essere stata eletta con il 19% dei consensi (e dopo aver fatto perdere settantamila voti al PD, che ha meno del 10% dei consensi degli elettori friulani), se Enrico Letta viene nominato premier.. allora la cosa più naturale del mondo sarebbe dare libero sfogo alla propria indignazione intellettuale, e nessuno potrebbe obiettare alcunché. Tuttavia mi asterrò dal farlo perché la coscienza mi dice che, anche se marginalmente - se non proprio infinitesimafmente - sono corresponsabile della situazione in cui siamo precipitati, e forse dovrei, rovesciando il detto evangelico, togliermi la pagluzza dall'occhio prima di denunciare la trave nel mio prossimo. In realtà a spronarmi in questa direzione è stato un mio giovane amico che, maledicendo l'attuale situazione politica italiana senza fare sconti a nessuno, lamenta "una Sinistra di inetti, ipocriti e ugualmente collusi col malaffare, con la consueta puzza sotto al naso di chi si sente superiore per principio". Sono abbastanza sicuro che non si riferisse a me, tuttavia non posso non essere rimasto molto turbato.  
No ho mai votato per il PD, ma fino alle elezioni del 2006 ho sempre sostenuto il centro-sinistra, votando per i partiti della cosiddetta 'sinistra radicale'. Potrei fare come molte altre persone che hanno fatto la stessa cosa e si sentono con la coscienza assolutamente a posto, ma questo vorrebbe dire davvero sentirsi "superiore per principio". Non sono colluso ma sicuramente connivente, un po' come il famoso ragioniere di Auschwitz - con le debite differenze, ovviamente - che non si capacitava dell'essere considerato un criminale.  
Giorgio Napolitano non inizia il suo secondo settennato per caso. Nemesi machiavellica dell'integerrimo Enrico Berlinguer, Napolitano ha scavalcato tutti i vari ostacoli paratisi di fronte (scioglimento del PCI, sconfitte elettorali del centro-sinistra, scioglimento dei DS e, per finire, età anagrafica, non essendo toccato da nessun processo di 'rottamazione') grazie a gente come me che, per gran parte della sua vita, non solo ha pensato che il male minore venisse dalla coalizione che si opponeva a Berlusconi, ma che addirittura ne potesse venire qualcosa di buono. E ora quello che mi merito è un bel pugno in faccia, nella forma degli abbracci Bersani-Alfano, dei sorrisi 36 denti di Berlusconi, dello spellamento di mani bipartisan al discorso di Re Giorgio. 
Oggi mi chiedo come ho fatto, per più di dieci anni della mia vita, a persistere nell'errore malgrado i continui inciuci, le bicamerali, la guerra, le privatizzazioni selvagge, l'attacco al diritto del lavoro, l'asservimento della magistratura, le candidature dei Rutelli,  dei Mastella e dei nipoti di Gianni Letta.
Potrei sostenere di non aver avuto alternativa, potrei accampare come scusa che persino l'anarchico Camillo Berneri preferì partecipare alle elezioni del 1924 auspicando persino un successo dell'odiato Giolitti pur di bloccare Mussolini. C'è però una differenza fondamentale: nonostante i suoi innumerevoli difetti, Giolitti non è mai sceso a compromessi con il leader del fascismo.  
E perché poi la sinistra 'radicale', in cui contavo tanto, si è ridotta così? In fondo per me si trattava di un voto quasi spontaneo, anche al di là del pericolo berlusconiano. E cosa dire della linfa vitale che si poteva trarre dai movimenti contro la globalizzazione neoliberista e la guerra, per l'acqua pubblica e la difesa dei beni comuni, da rivendicazioni sindacali importanti come le vertenze di Pomigliano contro i ricatti di Marchionne? E sopratutto perché, a fronte di un malcontento sempre più crescente per i privilegi della politica e la fossilizzazione delle classi dirigenti, si è dovuto attendere Grillo per contrastare il fenomeno?
 La cruda verità è che, nel sistema politico neofeudale italiano, la 'vera' sinistra (per usare un'espressione cara ai suoi ultimi simpatizzanti, in contrapposizione a quella 'realmente esistente' rappresentata dal PD) ha deciso di reclamare a pieno titolo un posto nella casta, sia che si presentasse nella forma di partito o di sindacato. Certo, non ha potuto reclamare i maggiori 'titoli nobiliari', a parte forse il 'vassallo' Fausto Bertinotti assurto a presidente della Camera: tuttavia si è abbondantemente prodigata nel raccattare posti da valvassori e valvassini, non potendo perciò svolgere quell'azione di rottura che i movimenti, ma in generale la grande maggioranza dei cittadini, chiedevano a gran voce. Il risultato è stato che, nella migliore delle ipotesi, la sinistra - vera o finta che fosse - ha potuto limitarsi a un'azione di lagnanza da tribunato della plebe e poco più, senza che ciò incidesse più di tanto sulle classi meno abbienti che pretendeva di voler rappresentare. 
Con una sana autocritica, quindi, non si intende fare una delle tante periodiche abiure della sinistra o smettere di credere in certi valori: significa, al contrario, crederci ancora di più e per davvero.  

mercoledì 17 aprile 2013

Ieri, oggi e soprattutto domani

A due giorni dall'attentato di Boston, ancora si sa molto poco sui mandanti, sebbene la tecnologia rudimentale di uno degli ordigni (una pentola a pressione adattata) e l'assenza di rivendicazioni faccia pensare a una pista interna e non al terrorismo internazionale. 
In ogni caso, qualunque motivazione ci sia dietro, fosse anche il gesto fine a se stesso di uno squilibrato - in stile Unabomber - gli attentati terroristici hanno sempre una valenza politica, e noi italiani, con una lunga storia di stragismo alle spalle, lo sappiamo bene e non solo perché dietro spesso e volentieri attentati si aggiravano organi dello Stato più o meno 'deviati'. 
Un attentato terroristico, specialmente se compiuto in un contesto come quello di Boston, in una manifestazione sportiva estranea a qualsiasi considerazione politica o di business, fa sempre sorgere il dubbio che non sia possibile vivere in una società libera e pacifica, resuscitando l'idea hobbesiana della logica ancestrale dell'homo homini lupus, dove è necessario un controllo centrale ferreo e rigoroso che assicuri la difesa dei cittadini, anche a scapito della loro libertà. 
L'attentato è il momento in cui bisogna 'abbassare i toni' e creare un 'clima di unità', 'concordia' e 'condivisione' ben oltre i limiti suggeriti dal buon senso; è il momento in cui bisogna obbedire ciecamente a gente inetta e criminale come George W.Bush "perché è il comandante in capo", come ripeteva solennemente Al Gore dopo gli attentati alle Torri Gemelle. Ed è anche il momento, come suggeriva un video-editoriale del Corriere subito lo scoppio delle bombe, in cui si deve "cambiare l'agenda del governo", senza ancora sapere nulla sugli attentatori o quasi dando per scontato che le forze di polizia abbiano agito con negligenza.O quasi non sapendo che il 'cambiamento' è proprio ciò che si propongono i terroristi.
Il movimento Occupy Boston, pur rendendo ovviamente omaggio alle vittime e partecipando alle veglie commemorative, ha deciso di proseguire nell'azione di protesta e domani eseguirà un'occupazione a Cambridge, cittadina dell'area metropolitana di Boston. Si tratta di una scelta non solo coraggiosa, ma anche estremamente saggia, il modo migliore di tutelare la libertà contro qualsiasi calcolo politico o lucida follia che possa essere all'origine delle bombe.

PS: ai funerali solenni di Margareth Thatcher, il premier britannico Cameron ha dichiarato che "siamo tutti thachteriani"; pensando alla classe politica occidentale, non si può che dargli ragione. Per fortuna però esistono ancora persone libere che vogliono dare una speranza a questo povero e scalcinato mondo, rimettendo a posto le macerie provocate dalla Lady di ferro e i suoi accoliti.

mercoledì 10 aprile 2013

Dont'cry

I morti vanno sempre rispettati, a prescindere, tuttavia ciò non significa essere moralmente obbligati a piangere tutte le persone che lasciano questo mondo. Personalmente non ho pianto per la scomparsa di Ronald Reagan nove anni fa e oggi non mi unirò al coro di cordoglio per Margareth Thatcher. 
Questi due, con il loro operato politico, hanno fatto molto di più che implementare un'ideologia politica iniqua o attaccare le persone più indifese della società- si ricordi che la lady di ferro è passata alla storia come un'eroina per la sua intransigenza contro i minatori, forse la categoria di lavoratori più a debole e a rischio che esista. Hanno fatto molto di più: hanno sdoganato l'idea che la concorrenza debba essere il valore umano fondamentale perché "esistono gli individui, non la società"; in nome del peggior darwinismo sociale, hanno precarizzato la vita di milioni di persone ed esaltato poche decine di speculatori - i guru del capitalismo finanziario - a mentori della nuova era neoliberale. Se il liberalismo classico voleva porre dei limiti all'ingerenza dello Stato nel mercato, con il neoliberalismo lo Stato ha riscoperto le sue origini hobbesiane, rispolverando l'aspetto del Leviatano per imporre il principio della concorrenza (spesso travestito sotto spoglie più nobili, quali 'merito')  e della mercificazione di ogni aspetto della vita umana. 
Certo entrambi gli statisti, specialemente l'attore statunitense, difficilmente possono aver concepito personalmente questo grandioso progetto di dominio e trasformazione antropologica: è più probabile che siano stati i meri esecutori di un piano ordito da ben altre raffinate mente, quali la Trilaterale, il Bilderberg e simili. Qualunque sia la verità, sta di fatto che hanno messo personalmente la faccia su politiche dissennate che oggi rischiano di portarci al collasso sociale ed ecologico, traendone per di più enormi benefici personali. Se oggi siamo messi csì male, lo dobbia moltissimo a loro.
Quidi aut aut: o commemoriamo le morti delle persone che si sono suicidate vedendo la propria dignità compromessa dagli effetti della crisi, oppure piangiamo la Thatcher; terzium non datur. 

lunedì 1 aprile 2013

Amici di Matteo Renzi

In queste ore drammatiche in cui il monarca (assoluto) Re Giorgio ha sospeso la costituzione e la democrazia di questo paese, non riesco a trattenermi dal parlare della sortita del Fonzie degl XXI secolo, Matteo Renzi, ad Amici di Maria di Filippo. Ovviamente il sindaco di Firenze trombato alle primarie del PD - ma per qualche strana ragione universalmente annoverato tra i vincitori morali delle elezioni - voleva dimostrare che la Sinistra che lui incarna ha perso ogni residuo di puzza sotto il naso per abbracciare senza remore la televisione e convertirsi al credo nazional-popolare berlusconiano. 
Se proprio voleva andare in televisione, non poteva scegliere programma peggiore di Amici, vera e propria fabbrica delle illusioni arcoriana; però forse rappresenta al meglio la società 'del merito e del talento' che ha in mente Renzi. Amici è un talent show dove protagoniste indiscusse non sono danza e musica, bensì le polemiche tra i concorrenti - poco più che adolescenti che non sono riusciti a sfondare con mezzi 'convenzionali' - e tra concorrenti e giudici; dove gli autori del programma mostrano video girati di nascosto per mettere i ragazzi l'uno contro l'altro, dove a sedere in studio a sputare sentenze sono persone (tronisti?) con la lingua lunga e nulla conoscenza in fatto di arte. E alla fine il televoto domestico, che premia non la bravura ma il proprio idolo personale, come se si chiedesse a un tifoso di calcio di scegliere quale squadra a suo giudizio dovrebbe aggiudicarsi la partita. 
Del resto Renzi si sarebbe trovato bene ad Amici: non particolarmente capace nelle arti, sarebbe riuscito a compensare con la verve polemica, il 'paraculismo' e soprattutto con la capacità di apparire sempre vincente. E , a uno che gli avesse detto "Non so se voi vincerete o perderete, magari perderete la battaglia. Ma non perderete la faccia, che è la cosa più importante", il nostro 'amico' avrebbe rifilato un "vaffanculo" talmente veloce e potente da battere qualsiasi primato grillino.  

giovedì 21 marzo 2013

5 Stelle di dolore

Vedo che la tendenza dominante della maggioranza delle persone di sinistra in Italia, deluse dall'esito elettorale, è di fare le pulci al M5S. Credo che si tratti di un atteggiamento estremamente sbagliato e fazioso, animato dal desiderio di attaccare quello che - a torto o ragione - viene visto come il 'nemico' che ha attinto da un bacino elettorale potenzialmente favorevole; ma forse c'è anche di più.
La sinistra deve riflettere sulla sua sostanziale estinzione, ma per farlo occorre evitare pensieri osceni, il peggiore dei quali è sicuramente l'idea che sarebbe stata meglio una netta vittoria del PD - 35%  dei voti, per intenderci -  e il superamento dello sbarramento da parte di Rivoluzione Civile, piuttosto che l'esito effettivo che ha visto la sconfitta dei tre maggiori contendenti (PD, PDL, Lista Monti) e il trionfo grillino. Si tratta di una forma mentis da perfetti reietti del PD, assurda da parte di gente capace di ripetere all'infinito che 'il PD non è più di sinistra'. A meno che, e forse è una triste verità, così come il socialismo sovietico non era il vero socialismo ma era comunque il socialismo 'reale',  PD e SEL rappresentino la sinistra 'realmente esistente'. Se il cattolico Papa Bergoglio vi è più simpatico dell'ex comunista Napolitano, forse avete qualche motivo su cui riflettere...
Estono molti profili discutibili sul M5S, ma non è una critica faziosamente di sinistra che può essere costruttiva. O si capisce il significato dell'elezione dei candidati grillini, quelli di cittadini investiti del ruolo di cani da guardia della politica e quindi necessariamente fuori dagli schemi tradizionali, o altrimenti è meglio tacere. E' assurdo lamentarsi dell'atteggiamento di chiusura nei confronti della televisione e dei giornalisti in generale (di fatto l'elemento che rende speciale e sui generis il M5S) e di loro ipotetiche violazioni della costituzione per la volontà di non concedere la fiducia ad alcun governo ma di valutarlo sui singoli provvedimenti; non ha senso esaltare i comportamenti di Grasso e Boldrini e l'improvvisa svolta 'anti-casta' del PD, facendo finta che ciò non sia dovuto al bisogno di rifarsi una verginità politica persa da tempo.
Il M5S andrebbe sfidato sul vero terreno di battaglia politico, ossia la capacità di rigenerare la società attraverso un nuovo spirito comunitario, che ai grillini riesce solo parzialmente in Rete. Purtroppo, su questo terreno la sinistra ha già fallito da tempo.

venerdì 8 marzo 2013

Adios Hugo

Sembra che le ultime parole di Chavez siano state "non voglio morire", grido disperato delle persone 'qualunque'. E Chavez, qualunque idea si possa avere su di lui, non è stato certamenta una persona 'qualunque'. 
Alla fine degli anni Novanta, quando per intenderci Hardt e Negri parlavano di 'impero' e si vaneggiava di 'nuovo secolo americano', il presidente venezuelano è stata la prima spina nel fianco del Washigton Consensus, il vero iniziatore del divorzio del Sudamerica dagli USA proseguitio con Morales, Correa e i coniugi Kichner.  Sopravvissuto a un colpo di stato e più in generale ai continui tentativi di scalzarlo, forse rappresenta la massima espressione di quella parola oggi di moda per denigrare chi non si piega alla dittatura economica, ovvero 'populismo'. Chavez era riuscito a instaurare un legame particolarissimo con il proprio popolo, dietro la bandiera del socialismo bolivariano aveva costruito uno strano culto della personalità latinoamericano, riuscendo laddove avevano fallito grandi personalità della storia come Robespierre. Non è stato un limpido esempio di democrazia, ma non è stato neppure un tiranno nel senso machiavellico del termine, di governante che usa il potere solo per scopi personali; come il Principe ha raffozato se stesso e lo Stato, certamente usando meno mezzi violenti di quelli consigliati dallo scrittore fiorentino, anche se ha fatto di tutto per far coincidere l'interesse venezuelano con il proprio, un ideale che in Italia è stato incarnato ovviamente solo a parole da Silvio Berlusconi.
Molti si chiedono se la 'diversità' venezuelana sopravviverà al suo leader, e direi che questo sarà un ottimo banco di prova per un giudizio storico nei suoi confronti: in caso negativo, si potrà dire che ha anteposto il suo utile personale al bene del popolo venezuelano. In caso contrario, bisognerà tributargli rispetto, qualunque opinione si abbia di lui.

martedì 26 febbraio 2013

Il sereno dopo lo tzunami

Le analisi politologiche mediamente non hanno mai brillato, di conseguenza anche in occasione di queste elezioni non era il caso di aspettarsi riflessioni particolarmente acute; tuttavia, in alcuni casi la superficialità - quasi sempre ostentata con superba presunzione - è tale che viene da pensare se a farla da padrone sia la faziosità o piuttosto la stupidità.
Oramai saprete tutto del risultato elettore, della vittoria di Pirro del PD, dell'orgogliosa resistenza berlusconiana, dello tzunami a 5 stelle ecc. peccato che dietro alla facciata dei commenti si rifletta una realtà ignorata che dovrebbe pesare come un macigno, ossia su quel 25% di elettori che si sono astenuti dal voto.
Facciamo un primo esempio. In gran parte del paese si stanno stracciando le vesti per il 'miracolo Berlusconi' (titolo de Il Giornale di oggi), questa mattina sentivo una signora allibita che non riusciva a credere all'idea che un italiano su 3 voti per il PDL; beh, fa bene a non crederci, perché non è così, gran parte degli italiani incantati dalle sirene arcoriane sono decisamente rinsaviti. Alle politiche del 2008, il centro-destra si aggiudicò ben 17.063.874 voti, mentre oggi si sono quasi dimezzati (9.923.100). Il PDL perde 6.296.744 voti, mentre il principale alleato, la Lega Nord, si è ridotto praticamente di un terzo (3.024.522 contro 1.390.156). In termini reali, contando cioé anche gli astenuti, tutto il centrodestra ottiene un modesto 21% e il partito del Cavaliere un misero 15%. Con questo metodo di calcolo, anche il 'loser' Veltroni potrebbe rialzare la testa: il suo PD naufragato quattro anni fa si attesterebbe oggi al 35,5%, un vero trionfo. 
Ovviamente non sentirete neppure un accenno a queste considerazioni sui giornali e in televisione. Piuttosto si recriminerà per la mancata leadership di Renzi - un po' come per tanti anni i tifosi hanno recriminato per i 6 minuti di Rivera  nella finale persa con il Brasile a Messico 1970 - evidenziando come il problema sia dovuta alla scelta 'troppo identitaria di sinistra' di Bersani, invece di aver optato per il giovane destrorso Renzi. Insomma, bisogna svoltare sempre più a destra e per giunta nel momento in cui la destra soffre una drammatica emorragia di voti, in nome della lotta al populismo (condotta per altro da una persona la cui bandiera è da sempre la 'rottamazione dei politici').
Per avere un'idea più chiara delle elezioni e della vera entità numerica dei partiti, vediamo le percentuali reali delle diverse formazioni:

M5S                    18,4%
PD                       18,3%
PDL                     15,0%
Scelta Civica         5,9%
Lega Nord            2,9%
SEL                      2,3%


Visto che si stanno facendo delle analisi basate anche sul calcolo degli astenuti, forse varrebbe la pena riflettere su cosa possa indurre una persona a rinunciare a questa diritto. Si tratta solo di individualisti, egoisti con scarso senso civico, come si è soliti pensare? Difficile crederlo.
Come amano ripeterci politici, economisti, giornalisti di ogni colore e orientamento, le azioni del nostro governo devono ispirarsi alle reazioni dei 'mercati' (cioé le principali banche e fondi di investimento del pianeta) e alla tecnocrazia 'europea'. Oggi i veri centri decisionali non sono più i parlamenti, ma ristrette commissioni aperte a una ristrettissima super élite e cda di grandi aziende, nei confronti dei quali la politica istituzionale esercita un azione di controllo e vigilanza pari a quella di un barboncino verso il padrone. E se poi lo scopo della politica diventa quello di imporre sacrifici draconiani in nome dell'utopia del pareggio di bilancio, quale legame può sentire il cittadino nei confronti di uno Stato che pretende concedendo sempre meno? Il M5S risponde con una proposta di trasformazione del sistema, basata su di una visione etica ispirata al principio gandhiano per cui "occorre diventare e il cambiamento che vogliamo vedere": niente conflitti di interesse e precedenti con la giustizia, stipendio dimezzato, niente rimborsi elettorali e finanziamento pubblico. Berlusconi propone invece un voto di scambio basato sulla difesa del privilegio contro qualsiasi residua onorabilità delle istituzioni, sdoganando i bassi istinti della gente nonché quasi ogni forma di delitto. E la sinistra invece, come un perenne Epimeteo sembra in ritardo sui tempi che corrono, blatera di 'responsabilità', 'merito' ed 'equità' fantasticando di liberismo dal volto umano.
Non è facile dire quale governo si profila all'orizzonte, una sola cosa è certa: qualsiasi alchimia si troverà, sarà un governo di minoranza rispetto all'elettorato; e occorrerà comportarsi di conseguenza.  


lunedì 11 febbraio 2013

Deficimus Papam

Conviene commentare la notizia delle dimissioni di Papa Benedetto XVI, anche perché potrebbero passare altri mille anni prima che si ripeta un fatto simile. Il caso precedente era stato quello di Celestino V, che Dante chiamo 'colui che per viltade fece il gran rifiuto', ma che secondo altri (tra cui Petrarca) fu spirito nobile e libero, troppo coinvolto in questioni spirituali per trovarsi a suo agio nel pragmatismo della Curia romana. 
Questo quadro potrebbe anche adattarsi a Ratzinger. Per anni Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (l'ex Sant'Uffizio), uomo molto poco pratico e ottimo bersaglio della satira. Si è spesso parlato del suo tradizionalismo in opposizione all'atteggiamento aperto di Giovanni Paolo II, ma si tratta di un fraintendimento assoluto: Wojtyla era conservatore quanto o più di lui, ma era nettamente più mediatico e capace di parlare anche ai non cattolici, cosa che è stata scambiata per un'inesistente apertura. Per una volta potrebbe avere ragione Ezio Mauro nel sostenere che la "modernità irrompe in Vaticano", perché qui siamo di fronte a un vero e proprio licenziamento operato dalla Chiesa Cattolica nei confronti del proprio Pontefice, in modo non molto dissimile al board di una multinazionale che licenza il suo CEO. La scusa delle precarie condizioni fisiche, dopo la lunga agonia fisica del suo predecessore - culminata nel doppiaggio dell'Angelus al telegiornale - non può assolutamente reggere. Tornano invece alla mente le voci delle minacce di morte di qualche mese fa, l'arresto e la condanna del maggiordomo che trafugava documenti segreti: tutti scenari in stile Codice da Vinci che lasciavano intravedere la volontà di indebolire l'autorità di quello che era stato presentato come 'Papa forte' dallo spirito quasi controriformistico.
Le possibilità più probabili sono che o che Ratzinger abbia talmente deluso il gruppo di pressione che lo ha portato al pontificato da volere la sua rimozione, oppure che questi si sia rifiutato di intraprendere una svolta voluta da ampi settori del Vaticano. In un mondo dove le ideologie laiche novecentesche sono fallite o risultano seriamente in crisi, dove latitano autorità morali, la religione può ricoprire un ruolo importante, come testimonia la penetrazione del fondamentalismo islamico, e un Papa teologo, dialetticamente noioso e incline a giochini intellettuali comprensibili solo da ristrettissime élite (vedi la sostituzione della Tiara con la Mitria nello stemma araldico) non sembra affatto congeniale. Non mi stupirei che a Ratzinger succedesse un Ponetifice relativamente giovane, dinamico, magari proveniente da un paese economicamente in ascesa (come il Brasile) avvezzo alla telecamere e alle nuove tecnologie, facendo dimenticare il tremendo fiasco dell'account Twitter papale. Per l'uomo che, smessi i panni papali, ritorna semplicemente Joseph Ratzinger, credo che nulla potrà impedire un oblio più o meno pilotato dall'alto, una clausura in qualche monastero dove possa dedicare gli ultimi anni della sua vita agli amati studi di teologia. 
Qualunque cosa succeda, una cosa è certa: questa svolta è gravida di conseguenze, e non solo per i cattolici. 

mercoledì 6 febbraio 2013

Non siamo Stati

La sentenza civile della Cassazione che condanna lo Stato Italiano a pagare i danni alle famiglie delle vittime del DC9 scomparso nelle acque di Ustica ha aperto molti dibattiti. Tra le reazioni segnalo il post di Toni De Marchi sul Il Fatto Quotidiano online e l'editoriale di Giulietto Chiesa sul sito di Megachip. Entrambi giungono alla stessa conclusione: non basta che la sentenza civile ammetta dopo tanti anni la verità sull'abbattimento del velivolo, bisogna portare alla sbarra e condannare anche tutti coloro che, nell'ambiente politico e militare, hanno bloccato la verità.
"La verità processuale scoperchia quella montagna di bugie e depistaggi che fin da qualche minuto dopo l’abbattimento fu decisa e messa in atto ai massimi vertici militari e dei servizi di sicurezza italiani. Purtroppo la natura stessa del processo civile fa sì che a essere condannati oggi non siano i veri autori dei depistaggi e delle manipolazioni della verità, ma sia lo Stato, cioé tutti noi” scrive De Marchi, mentre Chiesa, denunciando anch'egli il tradimento dello Stato, invoca anche i nomi di coloro che nelle istituzioni strumentalizzarono le BR, favorirono il sequestro di Moro, contribuirono a vario titolo allo stragismo; insomma, mettere nomi e cognomi ai cosiddetti settori 'deviati' dello Stato.
Non avrei nulla da obiettare e anzi sposerei al 100% queste prese di posizione se si parlasse di 'tradimento dei cittadini' e si evitasse di tirare in ballo lo Stato, in una strana condizione per cui lo Stato risulta traditore di se stesso. Ero solo un ragazzo ma ricordo molto  bene (eravamo nella seconda metà degli anni Novanta, credo) la sicurezza, l'orgoglio se non quasi la protervia con cui Contrada,  invitato a un programma televisivo di Cecchi Paone, difendeva a spada tratta la propria innocenza contro le accuse di collusione con Cosa Nostra, al punto che ingenuamente mi veniva quasi da credergli. Dopo la condanna e le evidenti prove di reato, continuavo a chiedermi come potesse mentire in modo così sfacciato e convinto, arrivando a ipotizzare anche una sorta di sdoppiamento di personalità.
Quando emersero i primi riscontri della famigerata trattativa Stato-Mafia, tutto mi è diventato più chiaro. La rabbiosa protesta di Contrada era genuina e dal suo punto di vista assolutamente legittima, nel senso che che l'ex agente non aveva fatto altro che obbedire agli ordini impartiti assecondando la volontà dello Stato, il tutto ottenendo una condanna invece dell'economio; altro che agente 'deviato'. Quando Igroia afferma che "a lungo lo Stato ha avuto il volto di Contrada" dice una solenne verità, che basterebbe da sola per comprendere perché un processo delicato come quello della trattativa Stato-Mafia non può giungere al suo naturale epilogo; ma questo principio va esteso a molte altre situazioni. Per lo Stato filo-atlantista, intrallazzatore con la criminalità organizzata e con i potentati economici, i vari Moro, Falcone, Borsellino, Ambrosoli erano loro 'deviati' e di ostacolo al perseguimento della politica statale.
Riusciamo davvero a pensare a semplici dipendenti dello Stato che, autonomamente, come tanti capi della Spectre di James Bond, decidono di intervenire autonomamente in alcune delle faccende più delicate della storia italiana? Semplici funzionari dei servizi segreti, della polizia, dell'esercito che decidono di modificare gli equilibri della politica nazionale e internazionale, di alterare le prove di crimini gravissimi, di organizzare stragi? Non possiamo davvero immaginarlo senza scadere nel ridicolo. La "ragion di Stato", ci insegna Machiavelli, come l'imperscrutabile volontà di Dio può apparire ingiusta ma aderisce a una logica superiore che le menti semplici non possono capire. Agli esecutori del lavoro sporco alla Contrada fanno da contraltare le facce presentabili dell'ex ministro Conso e del Generale Mori, che con ogni probabilità sfuggiranno a conseguenze giudiziarie.
Da persona sostanzialmente atea, sento di poter dire con certezza che il feticcio dello Stato è peggiore di quello della Croce. Senza diventare necessariamente anarchici, occorre mettere da parte ogni ipotesi di Stato 'deviato' o 'schizofrenico' e ragionare a menta fredda. Bisognerebbe chiedersi perché molti degli eroi 'deviati' - Falcone e Borsellino su tutti - provengano dalle file della magistratura, guarda caso l'organo meno 'statale' dell'impianto costituzionale, più decentralizzato e indipendente dai gangli della politica. E soprattutto direi di stare ben attenti a dire che "lo Stato siamo noi": noi, la società, semplicemente paghiamo le conseguenze dei suoi atti.   

domenica 27 gennaio 2013

Memoria senza conoscenza, frutto avvelenato

Oggi 27 gennaio, giorno della Memoria, sono obiettivamente contento che sia domenica e di non essere a scuola e di non dover fare il solito discorso di circostanza che spetta al docente di italiano e storia. Comunicazione di servizio: chiedo di proseguire la lettura prima di cominciare con assurde giaculatorie sull'antisemitismo, il fascismo o peggio ancora l'estremismo filo-palestinese, ecc. che non c'entrano assolutamente nulla.
L'Olocausto è stato senza dubbio un evento che, a prescindere dall'entità numerica del genocidio, è assolutamente senza pari nella storia umana per la sistematicità industriale con cui è stato compiuto; un crimine messo in pratica per altro non da mostri ma, come sottolineò giustamente la Arendt, da freddi burocrati come ce ne sono tanti nella società attuale. E, aggiungo io, dopo l'Olocausto e Hiroshima qualunque altra distruzione di massa che non sia altrettanto calcolata e devastante appare, se non proprio legittima, ridimensionata proprio per la portata di tali abomini. Alla luce di tutto ciò, come spiegare la mia allergia per il giorno della Memoria?
Ricordo un'iniziativa politica dove Paolo Bolognesi, presidente dell'associazione delle vittime della strage di Bologna, lamentava che i riflettori dei media si destassero solo ogni 2 agosto, per poi far tornare tutto nell'oblio, e metteva in guardia da quella che chiamava 'memoria senza conoscenza'. Se bisogna essere totalmente cinici e insensibili - o dei fanatici fascisti - per non provare commozione per delle vite innocenti strappate senza colpa, ben altra cosa è ricordare le complicità nella strage e avere una chiara cognizione dei fatti, cosa evidentemente sfuggita dal momento che molti uomini politici implicati - come quasi tutti gli appartenenti alla loggia massonica P2 - hanno continuato indisturbati la propria carriera politica; soprattutto, sono state dimenticate le complicità degli organi dello Stato nella realizzazione delle attentato e nel depistaggio delle indagini.
Qualcosa di molto simile avviene annualmente con l'Olocausto. Trasformato in evento da calendario, che permette ai giornali di preparare bozze preconfezionate e alle televisioni di dedicare la prima serata a Schindler's list o La vita è bella, la celebrazione dell'Olocausto diventa un semplice ammonimento a 'non ripetere mai più' questo crimine, fossilizzandolo nel tempo e nello spazio. Nel momento infatti in cui lo 'celebriamo', automaticamente ce lo mettiamo alle spalle. E se la retorica dei sentimenti non lascia spazio all'analisi razionale, allora il rischio di trasformare tutto in una gigantesca mistificazione è elevatissimo.
Angela Merkel ha parlato ieri di 'colpa perenne del popolo tedesco'. La cancelliera sa bene che il suo popolo durante il nazismo, per quanto sicuramente ignaro dell'esistenza dei campi di sterminio, aveva in qualche modo intuito che il destino riservato agli ebrei non era esattamente dei migliori. Questa è la colpa storica di tedeschi, italiani e di tutti quei popoli che hanno acconsenito alla deportazione e alle leggi razziali: non lo sterminio in sé, responsabilità di comandanti ed esecutori, ma aver acconsentito a creare le condizioni perché ciò potesse verificarsi. 
Se ragioniamo nella prospettiva della conoscenza e non della semplice memoria, l'Olocausto da evento fossilizzato nel tempo diventa straordinariamente attuale, e non tanto per i deliri di qualche neonazista ancora in circolazione. Ad esempio tutti noi persone civili e democratiche, ogni volta che acquistiamo merci rallegrandocene del prezzo straordinariamente basso, sospettiamo che all'origine ci siano processi produttivi di cui non andare esattamente fieri. Possiamo non conoscere l'abbietta realtà delle fabbriche del suicidio cinesi come Foxconn, possiamo ignorare completamente cosa c'entrino il coltan e il Congo con i nostri telefoni cellulari, possiamo abbozzare solo vagamente l'entità dell'assottigliamento delle calotte polari o della deforestazione. Ma il tarlo del dubbio, a chi più a chi meno, rosica le nostre menti; siamo ben consapevoli del fatto che 'qualcosa non va'.
Ha destato scandalo la dichiarazione di Lumumba Stanislaus Diaping, un delegato sudanese alla Conferenza sul clima 2009 di Copenaghen, riguardo l’accordo finale raggiunto: "È una soluzione basata sugli stessi valori che, secondo la nostra opinione, hanno portato sei milioni di persone in Europa nelle camere a gas"; in realtà aveva assolutamente ragione. Se l'Olocausto come fenomeno storico è stato sconfitto e, in quelle forme e in quelle proporzioni, è destinato probabilmente a non ripetersi mai più, l'ideologia della Shoah - ossia che esistono dei fini superiori avulsi da qualsiasi considerazione etica e che possono prevedere un tributo di sacrifici umani - ha trionfato ed è dominante. E si è drammaticamente consumato quello che Primo Levi, presentando il libro Vizio di forma, chiamò la fine della tecnica come fattore di progresso.
Da questo punto di vista, insistere sul carattere di unicità dell'Olocausto rischia di essere fuorviante. E' più probabile che l'Olocausto sia la forma estrema di un processo di produzione-distruzione che contraddistingue la società occidentale dal 1600 a oggi, e che ha avuto come principali manifestazioni il capitalismo, l'industrialialismo, il scientismo e lo sviluppo tecnologico acritico. Ne consegue quindi che Berlusconi, dichiarando che il fascismo ha fatto bene a parte per le leggi razziali, può anche essere in buona fede, come i moltissimi che sostengono la liceità delle fabbriche asiatiche (che assomigliano moltissimo ai campi di lavoro, se non a quelli di sterminio) o delle misure discriminatorie contro gli immigrati. Per queste persone, il giorno della Memoria rappresenta lo sconfinamento dalle colonne d'Ercole del mare del dominio legittimo; altri invece vogliono lasciare questo mare con tutte le loro forze. 

sabato 19 gennaio 2013

Stato con le palle, ma sopra gli occhi

Ha ragione Debora Billi: non ha senso lagnarsi per gli strali di Grillo contro i sindacati,  in diversa misura tutti lontani dai lavoratori che dicono di tutelare e sempre più espressione di logiche corporative; specialmente se l'alternativa prospettata è l'autogestione dei lavoratori (non male per chi veniva presentato fino a qualche giorno fa come un fiancheggiatore di Casapound). 
Il vero problema semmai è che Grillo vuole anche "uno Stato con le palle", e il politically correct c'entra molto poco - non ha senso parlare di lotta alla discriminazione con chi non la riconosce come problema. La recente esperienza argentina di autogestione operaia (le cosiddette 'fabbriche recuperate') successiva alla crisi del 2001 dimostra ampiamente che questi esperimenti diventano possibili quando lo Stato ha subito una quasi completa evirazione, quindi non sembra una buona idea inserire i due concetti nella stessa frase come ha fatto il comico genovese.
E poi, in definitiva, che cos'è uno "Stato con le palle"? Si dimostra iper-sensibilità ammettendo che suona come espressione molto fascista? E perché 'abolire' i sindacati, di chi deve essere questo compito, dello Stato 'potente' (in tutti i sensi del termine)? Perché non invitare semplicemente i lavoratori a restituire la propria tessera sindacale e lasciare che le organizzazioni si riducano a dei gusci vuoti?
Ma c'è un problema ancora più grosso e insormontabile... nella prospettiva di un autogestione dei lavoratori il sindacato è un problema, ma il padronato ancora di più e Grillo non ha proposto di 'abolirlo'. Ma forse è inutile analizzare troppo a fondo.
Grillo è un comico che non ha smesso di fare il comico entrando in politica, ha ammaesso che si farebbe "ammazzare per una battuta" e quindi non vale la pena di fare troppo la tara alle sue parole (ma di conseguenza anche di prenderlo troppo sul serio). Sarebbe il caso di essere ben più critici verso il leader politico di centro-sinistra, presunto socialdemocratico, che promette di non applicare nessuna imposta patrimoniale perché farlo sarebbe gesto da Robespierre o Saint-Just, un presuntuoso che parla di voto utile e vorrebbe costringere una formazione politica neppure alleata di desistere dalla competizione elettorale solo per farlo vincere, un ragionamento degno dello spessore intellettuale di un bullo di periferia. Speriamo piuttosto che il M5S approfondisca il tema dell'autogestione e, per il bene di tutti, le palle continui a romperle e non decida di impiantarle a uno Stato castrato.