domenica 27 gennaio 2013

Memoria senza conoscenza, frutto avvelenato

Oggi 27 gennaio, giorno della Memoria, sono obiettivamente contento che sia domenica e di non essere a scuola e di non dover fare il solito discorso di circostanza che spetta al docente di italiano e storia. Comunicazione di servizio: chiedo di proseguire la lettura prima di cominciare con assurde giaculatorie sull'antisemitismo, il fascismo o peggio ancora l'estremismo filo-palestinese, ecc. che non c'entrano assolutamente nulla.
L'Olocausto è stato senza dubbio un evento che, a prescindere dall'entità numerica del genocidio, è assolutamente senza pari nella storia umana per la sistematicità industriale con cui è stato compiuto; un crimine messo in pratica per altro non da mostri ma, come sottolineò giustamente la Arendt, da freddi burocrati come ce ne sono tanti nella società attuale. E, aggiungo io, dopo l'Olocausto e Hiroshima qualunque altra distruzione di massa che non sia altrettanto calcolata e devastante appare, se non proprio legittima, ridimensionata proprio per la portata di tali abomini. Alla luce di tutto ciò, come spiegare la mia allergia per il giorno della Memoria?
Ricordo un'iniziativa politica dove Paolo Bolognesi, presidente dell'associazione delle vittime della strage di Bologna, lamentava che i riflettori dei media si destassero solo ogni 2 agosto, per poi far tornare tutto nell'oblio, e metteva in guardia da quella che chiamava 'memoria senza conoscenza'. Se bisogna essere totalmente cinici e insensibili - o dei fanatici fascisti - per non provare commozione per delle vite innocenti strappate senza colpa, ben altra cosa è ricordare le complicità nella strage e avere una chiara cognizione dei fatti, cosa evidentemente sfuggita dal momento che molti uomini politici implicati - come quasi tutti gli appartenenti alla loggia massonica P2 - hanno continuato indisturbati la propria carriera politica; soprattutto, sono state dimenticate le complicità degli organi dello Stato nella realizzazione delle attentato e nel depistaggio delle indagini.
Qualcosa di molto simile avviene annualmente con l'Olocausto. Trasformato in evento da calendario, che permette ai giornali di preparare bozze preconfezionate e alle televisioni di dedicare la prima serata a Schindler's list o La vita è bella, la celebrazione dell'Olocausto diventa un semplice ammonimento a 'non ripetere mai più' questo crimine, fossilizzandolo nel tempo e nello spazio. Nel momento infatti in cui lo 'celebriamo', automaticamente ce lo mettiamo alle spalle. E se la retorica dei sentimenti non lascia spazio all'analisi razionale, allora il rischio di trasformare tutto in una gigantesca mistificazione è elevatissimo.
Angela Merkel ha parlato ieri di 'colpa perenne del popolo tedesco'. La cancelliera sa bene che il suo popolo durante il nazismo, per quanto sicuramente ignaro dell'esistenza dei campi di sterminio, aveva in qualche modo intuito che il destino riservato agli ebrei non era esattamente dei migliori. Questa è la colpa storica di tedeschi, italiani e di tutti quei popoli che hanno acconsenito alla deportazione e alle leggi razziali: non lo sterminio in sé, responsabilità di comandanti ed esecutori, ma aver acconsentito a creare le condizioni perché ciò potesse verificarsi. 
Se ragioniamo nella prospettiva della conoscenza e non della semplice memoria, l'Olocausto da evento fossilizzato nel tempo diventa straordinariamente attuale, e non tanto per i deliri di qualche neonazista ancora in circolazione. Ad esempio tutti noi persone civili e democratiche, ogni volta che acquistiamo merci rallegrandocene del prezzo straordinariamente basso, sospettiamo che all'origine ci siano processi produttivi di cui non andare esattamente fieri. Possiamo non conoscere l'abbietta realtà delle fabbriche del suicidio cinesi come Foxconn, possiamo ignorare completamente cosa c'entrino il coltan e il Congo con i nostri telefoni cellulari, possiamo abbozzare solo vagamente l'entità dell'assottigliamento delle calotte polari o della deforestazione. Ma il tarlo del dubbio, a chi più a chi meno, rosica le nostre menti; siamo ben consapevoli del fatto che 'qualcosa non va'.
Ha destato scandalo la dichiarazione di Lumumba Stanislaus Diaping, un delegato sudanese alla Conferenza sul clima 2009 di Copenaghen, riguardo l’accordo finale raggiunto: "È una soluzione basata sugli stessi valori che, secondo la nostra opinione, hanno portato sei milioni di persone in Europa nelle camere a gas"; in realtà aveva assolutamente ragione. Se l'Olocausto come fenomeno storico è stato sconfitto e, in quelle forme e in quelle proporzioni, è destinato probabilmente a non ripetersi mai più, l'ideologia della Shoah - ossia che esistono dei fini superiori avulsi da qualsiasi considerazione etica e che possono prevedere un tributo di sacrifici umani - ha trionfato ed è dominante. E si è drammaticamente consumato quello che Primo Levi, presentando il libro Vizio di forma, chiamò la fine della tecnica come fattore di progresso.
Da questo punto di vista, insistere sul carattere di unicità dell'Olocausto rischia di essere fuorviante. E' più probabile che l'Olocausto sia la forma estrema di un processo di produzione-distruzione che contraddistingue la società occidentale dal 1600 a oggi, e che ha avuto come principali manifestazioni il capitalismo, l'industrialialismo, il scientismo e lo sviluppo tecnologico acritico. Ne consegue quindi che Berlusconi, dichiarando che il fascismo ha fatto bene a parte per le leggi razziali, può anche essere in buona fede, come i moltissimi che sostengono la liceità delle fabbriche asiatiche (che assomigliano moltissimo ai campi di lavoro, se non a quelli di sterminio) o delle misure discriminatorie contro gli immigrati. Per queste persone, il giorno della Memoria rappresenta lo sconfinamento dalle colonne d'Ercole del mare del dominio legittimo; altri invece vogliono lasciare questo mare con tutte le loro forze. 

sabato 19 gennaio 2013

Stato con le palle, ma sopra gli occhi

Ha ragione Debora Billi: non ha senso lagnarsi per gli strali di Grillo contro i sindacati,  in diversa misura tutti lontani dai lavoratori che dicono di tutelare e sempre più espressione di logiche corporative; specialmente se l'alternativa prospettata è l'autogestione dei lavoratori (non male per chi veniva presentato fino a qualche giorno fa come un fiancheggiatore di Casapound). 
Il vero problema semmai è che Grillo vuole anche "uno Stato con le palle", e il politically correct c'entra molto poco - non ha senso parlare di lotta alla discriminazione con chi non la riconosce come problema. La recente esperienza argentina di autogestione operaia (le cosiddette 'fabbriche recuperate') successiva alla crisi del 2001 dimostra ampiamente che questi esperimenti diventano possibili quando lo Stato ha subito una quasi completa evirazione, quindi non sembra una buona idea inserire i due concetti nella stessa frase come ha fatto il comico genovese.
E poi, in definitiva, che cos'è uno "Stato con le palle"? Si dimostra iper-sensibilità ammettendo che suona come espressione molto fascista? E perché 'abolire' i sindacati, di chi deve essere questo compito, dello Stato 'potente' (in tutti i sensi del termine)? Perché non invitare semplicemente i lavoratori a restituire la propria tessera sindacale e lasciare che le organizzazioni si riducano a dei gusci vuoti?
Ma c'è un problema ancora più grosso e insormontabile... nella prospettiva di un autogestione dei lavoratori il sindacato è un problema, ma il padronato ancora di più e Grillo non ha proposto di 'abolirlo'. Ma forse è inutile analizzare troppo a fondo.
Grillo è un comico che non ha smesso di fare il comico entrando in politica, ha ammaesso che si farebbe "ammazzare per una battuta" e quindi non vale la pena di fare troppo la tara alle sue parole (ma di conseguenza anche di prenderlo troppo sul serio). Sarebbe il caso di essere ben più critici verso il leader politico di centro-sinistra, presunto socialdemocratico, che promette di non applicare nessuna imposta patrimoniale perché farlo sarebbe gesto da Robespierre o Saint-Just, un presuntuoso che parla di voto utile e vorrebbe costringere una formazione politica neppure alleata di desistere dalla competizione elettorale solo per farlo vincere, un ragionamento degno dello spessore intellettuale di un bullo di periferia. Speriamo piuttosto che il M5S approfondisca il tema dell'autogestione e, per il bene di tutti, le palle continui a romperle e non decida di impiantarle a uno Stato castrato.

venerdì 11 gennaio 2013

Il messaggio è il medium

Non voglio iniziare il blog nel 2013 parlando di Silvio Berlusconi, non avrei mai più voluto parlarne. Sono vent'anni che subisco quest'uomo, che cerco di farne un'analisi di critica, oramai mi esce dalle orecchie, non ne posso veramente più.  Oramai mi avvicino alla fatidica soglia del 'mezzo del cammin di nostra vita', il tempo e le risorse intellettuali sono limitate, per cui desidero occuparmi di argomenti seri, come la sostenibilità ambientale e sociale, e lasciare che Berlusconi e il berlusconismo siano azzannati da menti vergini, più giovani e bramose di fare a pezzi uno dei più celebri fenomeni di società dello spettaccolo della storia occidentale. Non credo di essere condannabile per questo.
Ieri però ho commesso il peccato mortale di guardare Servizio Pubblico, per altro dopo averlo disertato per settimane. No ho scomesso sull'allontanamento di Berlusconi dallo studio, quindi c'è da chiedersi che cosa mi abbia spinto ad assistere a uno show per altro scontato: retaggi di sensi di colpa dettati dalla coscienza anti-berlusconiana, che per altro mi ha fatto fare in passato cose ben peggiori? (come votare per il centro-sinistra) Gusto dell'orrido? Sadomasochismo? Difficile dirlo. 
Allora, siccome non posso sfuggire alla punizione di parlarne, voglio però dirottare l'attenzione sul mezzo televisivo - se non altro nel mio piccolo non contribuirò anche io a illuminare il desolante deserto intellettuale del redivivo Silvio.
Stamattina, quando molti celebravano il successo mediatico del tycoon arcoriano, ho pensato tra me e me: una simile accozzaglia di bugie e autocelebrazione sarebbe mai stata proponibile in un contesto comunicativo diverso dalla televisione? A parte gli adoratori fanatici (pur nutrendo dubbi anche su questo) chi avrebbe mai dedicato attenzione a un libro o a un sito Web  con quei contenuti?
In particolare nel caso del Web, un sito di insulti e diffamazioni in genere non riuscuote particolare successo; a parte la tendenza a scrivere commenti violenti celandosi dietro l'anonimato, in genere anche i siti di istigazione all'odio sono delle nicchie ristrette, che ottengono visibilità quando stampa e tv ne segnalano la chiusura da parte dell'autorità giudiziaria. Un programma televisivo di insulti razzisti o altro genere di stravaganze, invece, otterrebbe grande risalto anche se in onda su canali locali sconosciuti, come testimoniano le riuscite trasmissioni della Gialappa's Band. 
Berlusconi odia Marco Travaglio non  perché parla male di lui in modo documentato, ma perché rappresenta un altro tipo di realtà, quella dell'editoria stampata, che è basata su presupposti molto diversi. Berlusconi era sicuro di vincere non solo perché è un presuntuoso spocchioso, ma perché avrebbe vomitato insulti in televisione, che è fruttuoso come spargere letame sul campo.
Travaglio non è un personaggio televisivo e per renderlo efficace in TV bisogna creargli una nicchia dedicata come il monologo; per quanto capace di sostenere qualsiasi tipo di contraddittorio, non è in grado di applicare la tattica dell'insulto e della menzogna preventivi; a differenza del collega Santoro, che infatti è più noto per le invettive e gli scontri dialettici che per le inchieste televisive (che, si badi bene, non sono opera sua ma dei collaboratori). 
L'homo videns fruitore della televisione, come notò Sartori, si infatua di personaggi bizzarri e   stravaganti. e ripudia il piatto e monotono buon senso. Berlusconi che confonde volontariamente cause civili e penali per infangare Travaglio in televisione è una mossa vincente, ragione per cui Santoro si lamenta non  per la falsità diffamente, ma perché questo colpo di teatro avviene attraverso una lettera scritta da altri, da Bonaiuti e altri vassalli e valvassini del Principe; un oltraggio insopportabile. 
In conclusione, ribaltando la tesi di McLuhan, potremmo dire che il messaggio è il medium. L'insulto (alle orecchie o all'intelligenza poco importa) è la televisione.