lunedì 17 giugno 2013

La guerra di Enrico

Non giriamoci troppo intorno: l'annuncio del premier Letta di mantenere l'impegno del 3% nel rapporto defict/Pil, volto a rassicurare i potentati europei e internazionali alla base della sua nomina a presidente del consiglio, equivale a una dichiarazione di guerra all'Italia e ai suoi cittadini. Con i tassi di crescita inevitabilmente asfittici o addirittura negativi che si profilano, il rispetto del vincolo europeo può solo tramutarsi in esproprio della ricchezza del paese a vantaggio di quelle ristrettissime lobby che speculano sul debito pubblico italiano, gravato da interessi da usura. 
Deve essere questa la ragione per cui il governo insiste sulla necessità di favorire un minimo di politiche giovanili, così come il redivivo Marchione, che fino a qualche tempo fa sproloquiava sulla necessità della fusione tra FIAT e Chrysler (in pratica sul trasferimento della produzione italiana in USA) oggi parla di 'piano Marshall dell'Italia', come se fosse tanto stupido da non capire che più di qualche limatura sulla fiscalità del lavoro non ci si può attendere. Sanno che sta per arrivare una situazione tale da mettera a dura prova quel che resta del tessuto sociale, che potrebbe avere ripercussioni gravissime e spingere alla reazione persino un popolo apatico come il nostro.
E' davvero interessante fare un parallelo tra la nostra crisi, per mancanza di crescita, e quella turca, che invece si deva al motivo esattamente opposto - la crescita turca negli ultima anni è stata due volte e mezza quella della locomotiva Germania - dove si contesta il predominio dell'economicismo (in salsa islamica) su qualsiasi altra considerazione. Sono due facce della stessa medaglia, per quanto possano storcere il naso economisti liberisti "pro-austerità" e keynesiani per "più spesa per più crescita": rappresentano il fallimento di una società che ha elevato al rango di guida infallibile la scienza più astratta e dogmatica - l'economia - ai danni di ciò che era vero e tangibile - persone, ambiente, cultura. E come disse un giorno qualcuno che ci capiva, "un problema non può essere risolto dallo stesso atteggiamento mentale che lo ha provocato".


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