venerdì 20 dicembre 2013

Forconi e forchette

Come hanno capito i commentatori più intelligenti, i forconi di per sé rappresentano la rivolta di persone che hanno creduto apertamente nel sistema, e che ancora oggi di fronte alla crisi economica non si interrogano sulla sua validità, ma si limitano a inveire contro i politici corrotti, le banche d'affari l'UE e la massoneria internazionale. 
Per questa ragione i forconi si prestano a strumentalizzazioni di ogni genere, da parte dell'estrema destra di Casapound e soggetti simili che si riconoscono al 100% in questa posizione di 'rivoluzione conservatrice', ed è forse anche questo il motivo per cui alcuni poliziotti si sono slacciati il casco di fronte ai dimostranti - sapevano che la loro istituzione e quelle che le comandano non erano oggetto di discussione.
Portare bandiere italiane in piazza e cantare l'inno di Mameli non è un atto politico - si fa dopo ogni vittoria importante della nazionale di calcio, ossia la cosa più disimpegnata che possa esistere. Diventa politico nel momento in cui, ignorando le profonde trasformazioni che stanno investendo la nostra epoca, i manifestanti rivendicano il diritto a riportare indietro le lancette della storia come se nulla fosse; o forse, come ha notato sarcasticamente qualcuno, basterebbe riportare qualche punto di PIL in più e tutto si aggiusta.
Fa bene la sinistra quindi a mostrarsi sdegnosa nei confronti di questa plebe rabbiosa? O ha ragione Aldo Gianulli quando sostiene la necessità di salvaguardare la forte posizione anti-euro e sottarlo all'abbraccio mortale della destra?
In realtà sono entrambi atteggiamenti sbagliati. Non si può ridicolizzare aristocraticamente la 'plebe' dei forconi, ma neppure scambiare le cause con le conseguenze e concentrarsi acriticamente sulla questione euro, neanche quando la Merkel insiste per 'contratti di governance' che obblighino i singoli stati membri della UE a fare le 'riforme': seppur in modo intellettualmente più profondo, si cadrebbe nello stesso tipologia di errori dei forconi. Occorre un'analisi di maggior rilievo - specialmente se, come nel caso di Gianulli, proviene da uno storico - per capire che cosa si celi realmente dietro alla camicia di forza della UE, alle banche e ai vari 'complotti'. A comprendere le ragioni della fine di un'epoca storica e del profilarsi di una nuova, difficile da decifrare. 

lunedì 9 dicembre 2013

Duri a morire

Certo che il neoliberismo e le sue istituzioni fondanti sono curiose: quando possono millantare di essere il 'pensiero unico', via esclusiva per sviluppo e ricchezza, subiscono violentissime contestazioni planetarie - vedi il movimento no global, nelle sue innumerevoli sfacettature - quando invece la crisi economica dimostra senza appello il loro fallimento (almeno per quanto riguarda i fini dichiarati; oggi i paladini del neoliberismo se la passano bene come non mai) rialzano prepotentemente la testa. 
Venerdì scorso c'è stato un annuncio storico che, in altri tempi, avrebbe provocato proteste oceaniche: il WTO, l'organizzazione mondiale per il commercio, è giunto a un'intesa storica sul commercio globale, persino Cuba ha lasciato cadere il diritto di veto.
Come è stato possibile? Probabilmente la risposta si trova nelle parole del viceministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda. "Le misure di facilitazione degli scambi commerciali - osserva Calenda - rappresentano una straordinaria opportunità per crescere. Le stime commissionate dal WTO sul potenziale di crescita del pil mondiale derivante dai  capitoli negoziali effettivamente chiusi a Bali, infatti, parlano di un incremento di più di 1.000 miliardi di dollari" (più o meno l'1,5% del pil mondiale).
Forse la ragione sta tutta qui: tirare a campare. Per quanto dovrebbe essere assurdo parlare di crisi quando - numeri alla mano - ci troviamo nel momento di maggior ricchezza monetaria della storia umana, il sistema capitalista, al pari di una cellula tumorale, non può smettere di crescere. In questa situazione, una moltitudine eterogenea, che va da disoccupati fino a uomini di governo incapaci di trarre un ragno dal buco, probabilmente appoggerebbero qualsiasi provvedimento che permettesse di rilanciare la crescita. Sarebbe bello ovviamente sapere quale tipo di distruzione ambientale e sociale provocheranno le 'facilitazioni commerciali', ma quello lo scopriremo ovviamente sulla nostra pelle.
Sembra inevitabile: il neoliberismo alla fine vince sempre, l'importante è parlarne poco, tenere un profilo il più basso possibile, non come nel periodo 1999-2006, quando occupava le prime pagine dei giornali ed era sulla bocca di tutti.
Basta tirarlo fuori al momento opportuno. Ecco quindi che Matteo Renzi, prevedibile trionfatore delle primarie del PD, dopo una campagna elettorale basata sul nulla (il fare, la rottamazione, il merito) tira fuori degli argomenti davvero politici, che ha pensato bene però di NON farne un vessillo al momento di ricercare voti:
  
"Dimostreremo che non è vero che l’Italia e l’Europa sono state distrutte dal liberismo ma che al contrario il liberismo è un concetto di sinistra, e che le idee degli Zingales, degli Ichino e dei Blair non possono essere dei tratti marginali dell’identità del nostro partito, ma ne devono essere il cuore" 

In effetti si possono fare molti parallelismi tra Renzi e il primo Blair: in entrambi i casi abbiano una faccia giovane e carina per coprire un'ideologia putrida. Vedremo se, al pari di Blair, quando sarà vecchio e cinquantenne, il buon Matteo si auto-rottamerà e chiuderà degnamente la carriera da dipendente lautamente stipendiato del potentissimo Carlyle Group.