lunedì 9 dicembre 2013

Duri a morire

Certo che il neoliberismo e le sue istituzioni fondanti sono curiose: quando possono millantare di essere il 'pensiero unico', via esclusiva per sviluppo e ricchezza, subiscono violentissime contestazioni planetarie - vedi il movimento no global, nelle sue innumerevoli sfacettature - quando invece la crisi economica dimostra senza appello il loro fallimento (almeno per quanto riguarda i fini dichiarati; oggi i paladini del neoliberismo se la passano bene come non mai) rialzano prepotentemente la testa. 
Venerdì scorso c'è stato un annuncio storico che, in altri tempi, avrebbe provocato proteste oceaniche: il WTO, l'organizzazione mondiale per il commercio, è giunto a un'intesa storica sul commercio globale, persino Cuba ha lasciato cadere il diritto di veto.
Come è stato possibile? Probabilmente la risposta si trova nelle parole del viceministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda. "Le misure di facilitazione degli scambi commerciali - osserva Calenda - rappresentano una straordinaria opportunità per crescere. Le stime commissionate dal WTO sul potenziale di crescita del pil mondiale derivante dai  capitoli negoziali effettivamente chiusi a Bali, infatti, parlano di un incremento di più di 1.000 miliardi di dollari" (più o meno l'1,5% del pil mondiale).
Forse la ragione sta tutta qui: tirare a campare. Per quanto dovrebbe essere assurdo parlare di crisi quando - numeri alla mano - ci troviamo nel momento di maggior ricchezza monetaria della storia umana, il sistema capitalista, al pari di una cellula tumorale, non può smettere di crescere. In questa situazione, una moltitudine eterogenea, che va da disoccupati fino a uomini di governo incapaci di trarre un ragno dal buco, probabilmente appoggerebbero qualsiasi provvedimento che permettesse di rilanciare la crescita. Sarebbe bello ovviamente sapere quale tipo di distruzione ambientale e sociale provocheranno le 'facilitazioni commerciali', ma quello lo scopriremo ovviamente sulla nostra pelle.
Sembra inevitabile: il neoliberismo alla fine vince sempre, l'importante è parlarne poco, tenere un profilo il più basso possibile, non come nel periodo 1999-2006, quando occupava le prime pagine dei giornali ed era sulla bocca di tutti.
Basta tirarlo fuori al momento opportuno. Ecco quindi che Matteo Renzi, prevedibile trionfatore delle primarie del PD, dopo una campagna elettorale basata sul nulla (il fare, la rottamazione, il merito) tira fuori degli argomenti davvero politici, che ha pensato bene però di NON farne un vessillo al momento di ricercare voti:
  
"Dimostreremo che non è vero che l’Italia e l’Europa sono state distrutte dal liberismo ma che al contrario il liberismo è un concetto di sinistra, e che le idee degli Zingales, degli Ichino e dei Blair non possono essere dei tratti marginali dell’identità del nostro partito, ma ne devono essere il cuore" 

In effetti si possono fare molti parallelismi tra Renzi e il primo Blair: in entrambi i casi abbiano una faccia giovane e carina per coprire un'ideologia putrida. Vedremo se, al pari di Blair, quando sarà vecchio e cinquantenne, il buon Matteo si auto-rottamerà e chiuderà degnamente la carriera da dipendente lautamente stipendiato del potentissimo Carlyle Group. 





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