lunedì 24 giugno 2013

Sesso istituzionalizzato

Di fronte a donne che rischiano la vita per strada sotto gravi condizioni di sfruttamento, bisogna abbandonare ogni moralismo e  affrontare invece la questione prostituzione sul piano etico. Siccome la vita di ogni essere umano è superiore a qualsiasi prurrito del buoncostume, bisogna favorire in tutti i modi le soluzioni che eliminino i rischi più gravi; saranno d'accordo anche i cattolici più intransigenti, se veramente fanno proprio l'appello di Papa Francesco "La vita è valore sacro che va difeso sempre".
Ne consegue quindi che la proposta di legge della senatrice PD Maria Spilabotte di legalizzare la prostituzione in casa (nulla a che vedere con i quartieri a luci rosse, che mi vedono fortemente contrario) va assolutamente condivisa anche se le motivazioni sembrano piuttosto di natura economica, dato che puntano a introdurre la partita IVA e a creare di un apposito libretto di lavoro. Dopo il lotto e il gioco d'azzardo, la prostituzione diventerebbe un'altra fonte di introiti dello Stato. 
Di per sé non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che inserire anche il sesso nel tritacarne burocratico dello Stato, insieme alla salute ed altri aspetti dell'intimità personale, desta abbastanza preoccupazione, perché saremmo ben oltre la mercificazione del corpo.
Lo Stato in materia di rapporti sessuali dovrebbe interessarsi esclusivamente del fatto che le persone interessate siano consenzienti  e capaci di intendere di volere, in caso contrario non posso sussistere condanne penali o provvedimenti amministrativi. Gli eventuali scambi di denaro devono riguardare solamentee le persone coinvolte, quindi né papponi né l'agenzia dell'entrate. Quando si parla poi di controlli sanitari sulle prostitute, si introduce anche la possibilità di stabilire se una persona è abile o meno ad atti sessuali, aprendo la strada al peggior controllo totalitario sui corpi.
Certo il motto del Papa a questo punto vale anche per me, quindi se la proposta della Spilabotte è l'unico modo di arginare sfruttamento e violenza, che sia. Ma non posso fare a meno di pensare che lasciare la libertà di prostituirsi in casa senza oneri e benefit da parte dello Stato sia la soluzione migliore.
Qualcuno obietterà sul fatto che la mia idea è discriminatoria nei confronti delle sex workers, perché le differenzia dalle altre lavoratrici. A parte il fatto che esonerarle dall'oppressione burocratica statale agevolando la possibilità di creare reti di mutuo soccorso e auto-aiuto sembra più un privilegio che una condanna, esistono ambiti fche il controllo statale non deve valicare, anche se di queste 'terre vergini' - ironia involontaria - ne restano sempre meno. 
In realtà la sfida di mantenere informalità, sicurezza e dignità riguarda ben altre questioni oltre la prostituzione. E che con ogni probabilità sono affrontabili solo da una società cosciente, e non dal potere normativo dello Stato.

lunedì 17 giugno 2013

La guerra di Enrico

Non giriamoci troppo intorno: l'annuncio del premier Letta di mantenere l'impegno del 3% nel rapporto defict/Pil, volto a rassicurare i potentati europei e internazionali alla base della sua nomina a presidente del consiglio, equivale a una dichiarazione di guerra all'Italia e ai suoi cittadini. Con i tassi di crescita inevitabilmente asfittici o addirittura negativi che si profilano, il rispetto del vincolo europeo può solo tramutarsi in esproprio della ricchezza del paese a vantaggio di quelle ristrettissime lobby che speculano sul debito pubblico italiano, gravato da interessi da usura. 
Deve essere questa la ragione per cui il governo insiste sulla necessità di favorire un minimo di politiche giovanili, così come il redivivo Marchione, che fino a qualche tempo fa sproloquiava sulla necessità della fusione tra FIAT e Chrysler (in pratica sul trasferimento della produzione italiana in USA) oggi parla di 'piano Marshall dell'Italia', come se fosse tanto stupido da non capire che più di qualche limatura sulla fiscalità del lavoro non ci si può attendere. Sanno che sta per arrivare una situazione tale da mettera a dura prova quel che resta del tessuto sociale, che potrebbe avere ripercussioni gravissime e spingere alla reazione persino un popolo apatico come il nostro.
E' davvero interessante fare un parallelo tra la nostra crisi, per mancanza di crescita, e quella turca, che invece si deva al motivo esattamente opposto - la crescita turca negli ultima anni è stata due volte e mezza quella della locomotiva Germania - dove si contesta il predominio dell'economicismo (in salsa islamica) su qualsiasi altra considerazione. Sono due facce della stessa medaglia, per quanto possano storcere il naso economisti liberisti "pro-austerità" e keynesiani per "più spesa per più crescita": rappresentano il fallimento di una società che ha elevato al rango di guida infallibile la scienza più astratta e dogmatica - l'economia - ai danni di ciò che era vero e tangibile - persone, ambiente, cultura. E come disse un giorno qualcuno che ci capiva, "un problema non può essere risolto dallo stesso atteggiamento mentale che lo ha provocato".


giovedì 6 giugno 2013

Presidenzialismo e barbarie

Secondo Lorenza Carlassare, docente universitario scelta tra i 35 saggi per la riscrittura della Costituzione, lo scopo che si propongono le cosiddette 'riforme' bipartisan e sostenute a spada tratta dal capo dello Stato - avremo addirittura un DDL del governo in materia - mirano a “delegittimare la Costituzione” e a dare un po’ di sostanza “a quella vena di autoritarismo che ci portiamo dietro da sempre".
La trasformazione in soli 18 mesi dell'Italia in una repubblica presidenziale non poteva essere descritta in termini migliori. Cosa si può dire del resto di un parlamento di nominati, che si eleva ad assemblea costituente malgrado una legge elettorale che persino la maggioranza dichiara vergognosa?
Un presidenzialismo, per altro, presentato come fondamentale 'per assicurare la governabilità', ma di cui non viene spiegata l'essenza più intima, se non limitandosi a vaghe rassicurazioni sul fatto che il Presidente sarà eletto direttamente dai cittadini.
Di fatto, in una repubblica presidenziale le figure di capo dello stato e capo del governo o coincidono, come negli USA, oppure si verifica la strana situazione semi-presidenziale francese, dove le due cariche sono distinte ma il presidente della repubblica eletto direttamente comanda per interposta persona, un po' come nell'antico Egitto accadeva tra faraone e visir. E, cosa che non viene mai detta, in una repubblica presidenziale il governo non è sfiduciabile e impronta enormemente l'azione legislativa. 
Ovviamente i benpensanti replicheranno che esistono nazioni presidenzialiste come gli USA, assolutamente democratiche ma, caso strano, non esiste un presidenzialismo puro da nessuna parte in Europa. La tanto osannata ed efficientista Germania, ad esempio, è una repubblica parlamentare né più né meno dell'Italia attuale; e gli USA sono uno stato federale, dove esistono numerosi contrappesi a livello locale dell'influenza del presidente. Nella versione italiana, invece, il presidenzialismo sarà un modo per applicare sulla popolazione quelle 'riforme' che questo ha sempre maldigerito, anche con azioni dirette come i referendum del 2011 su nucleare, legittimo impedimento e acqua pubblica. Con il presidenzialismo all'italiana, ben lungi dall'avere un 'uomo forte' al governo - il presidenzialismo era sempre stato del resto un cavallo di battaglia del vecchio Movimento Sociale - avremo la consacrazione dell'agenda Monti e Letta a unica politica nazionale, con il presidente eletto direttamente ridotto a semplice passacarte, per quanto 'unto dal popolo', degli ordini provenienti dai poteri forti europei e mondiali. Avremo insomma un governo più forte per una nazione più debole, priva di una delle poche cose di cui poteva andare fiera nel mondo: la sua costituzione repubblicana.