mercoledì 17 dicembre 2014

Arresto di Chiesa o della democrazia?

Mentre la Farnesina, per bocca del ministro Gentiloni, tuona contro il governo di New Delhi reo di voler il ritorno in India del marò Massimiliano Latorre, non mi risulta che sia stata fatta particolare pressione sull'Estonia - nazione membro a tutti gli effetti della UE - per avere delucidazioni sull'arresto e il successivo obbligo di espulsione ai danni di Giulietto Chiesa, per altro senza contestargli alcun reato. Da ciò si deve dedurne che, effettivamente, l'obiettivo era impedire a Chiesa di intervenire a una conferenza sul ruolo della Russia e sui rapporti con l'Europa.
Come ben noto, l'Estonia, repubblica baltica ex sovietica, è uno stato fortemente anti-russo, mentre Chiesa e l'organizzazione che rappresenta - Alternativa Politica - hanno una posizione decisamente favorevole verso Vladimir Putin. Non faccio mistero di aver lasciato Alternativa alla fine del 2013 proprio per questa ragione, perché l'ideale dell'equidistanza dell'Europa dagli USA da una parte e da Russia e Cina dall'altra (necessaria per evitare una guerra mondiale), si era trasformata gradualmente in una presa di posizione a favore del governo russo, in certi casi fino al parossismo (come nel caso di un articolo di Megachip, scritto da Pino Cabras, dirigente di Alternativa, dove Putin viene addirittura definito 'leader del mondo libero'). Detto questo, le divergenze di opinione non possono impedire di distinguere tra pifferai e intellettuali realmente impegnati a comprendere la difficile fase di transizione che ci troviamo a vivere: e Chiesa appartiene senza dubbio alla seconda categoria.
L'arresto del giornalista genovese dimostra senza ombra di dubbio che è in corso una nuova guerra fredda, che a differenza della precedente è strisciante e non dichiarata, perché non esiste più il mondo diviso in blocchi contrapposti ma le nazioni ai ferri corti si ritrovano sotto l'ombrello della globalizzazione neoliberista. E rivela che il soggetto politico che più ha da perderci in un'eventuale scontro tra i giganti americani ed euroasiatici, ossia la UE, anziché assumere la posizione più ovvia - quella di mediazione - ha deciso di votarsi alla causa di uno dei galli nel pollaio, per altro amico di vecchia data; a tal fine, non esita a rinnegare i suoi principi liberali e democratici limitandosi (almeno per ora) a far fare il lavoro sporco a quelle nazioni della 'giovane Europa', come amava chiamarla Bush (quell'Europa fatta di nazioni post-sovietiche pronte a seguirlo senza indugi nelle sue avventure imperialistiche in Medio Oriente) che non sembrano aver metabolizzato troppo bene la democrazia.
La decisione europea non è solo autoritaria, ma suicida. Neppure l'appoggio convinto di Chiesa a Russia e Cina, che lo sta portando verso pericolosi abbracci con la Lega Nord di Matteo Salvini, sembra troppo convincente. Ma tra chi cinicamente pensa di burattinare i destini di milioni di persone e chi invece combatte sinceramente, pur con modi a volte discutibili, per la causa della pace, non può esserci dubbio alcuno su chi meriti il nostro sostegno. 

mercoledì 12 novembre 2014

W lo sciopero del ponte!

Non sono mai stato iscritto al sindacato né mai lo sarò. Non mi basterebbe un intero blog per riportare tutte le mie critiche sulla CGIL e l'apparato sindacale in genere. Tuttavia, non ho problemi ad ammettere quando ne combinano una giusta. E lo sciopero generale organizzato per il venerdì 5 dicembre, in modo da creare una sorta di 'ponte' con il sabato, la domenica e la festa dell'Immaccolata Concezione, è veramente una buona idea, che purtroppo però il sindacato dalle prime reazioni alle critiche ('nessuno ci aveva mai pensato, è una coincidenza, ecc') sta già rovinando.
Partiamo dalle polemiche che stanno piovendo dagli ambienti dalla politica e da Twitter, il moralizzatore digitale del XXI secolo: 'perdita di credibilità del diritto di sciopero', 'espediente per far astenere più lavoratori'. Quest'ultima, nell'epoca in cui la politica è ridotta a marketing, dovrebbe essere interpretata come un complimento, specialmente se nella satira i sindacalisti vengono dipinti arretrati come fossili paleozoici. Nell'era in cui si rischia di sfasciare il bilancio dello stato per dare 80 euro in più in bustapaga prima delle elezioni, non mi sembrerebbe un peccato mortale. La prima critica, invece, sembra legata a una versione riveduta e corretta dell'etica protestante del lavoro.
A chi grida al fankazzismo, vorrei ricordare che la giornata di sciopero viene trattenuta sulla busta paga, contribuzione compresa. Chi sciopera sceglie di rinunciare al salario per aderire a una rivendicazione o, come sostengono molti malpensanti, se ne sta a casa a dormire di più e a farsi un giorno di libertà dal lavoro, un atto quindi scevro da intenti politici.
Quello che oramai la nostra civiltà, accecata dal delirio della produttività e del lavoro, non riesce proprio a comprendere, è che rinunciare a una giornata di stipendio per averne una libera è una rivendicazione eminentemente politica. Non lo sono l'assenteismo e tutti gli stratagemmi per percepire salario senza ottemperare ai propri doveri, ma questo gesto alla luce del sole - e del tutto sulla propria pelle - lo è. Il lavoratore compie l'atto più responsabile che possa fare una persona adulta e matura, ossia stabilire un ordine di priorità: prima la mia vita, poi le esigenze lavorative. Antepone una giornata con la famiglia, gli amici, a dedicarsi agli hobby ecc alla quota di salario di quella giornata, tutto questo nella società più mercificata che la storia umana ricordi, dove il denaro è la principale divinità adorata. Un'azione molto più politica di pagare una tessera o mettere la croce su di una scheda elettorale, per certi versi quasi ribelle.
Ma forse, come dicevo prima, viviamo in una società dove regna l'etica protestante del lavoro, io non me ne sono accorto a per fortuna renziani e Twitter mi riportano alla realtà. Chiedo venia, anche se devo rimproverarli perché anch'essi dimostrano di non essere sempre aggiornati nelle loro censure morali.
Giusto la settimana scorsa, Sergio Marchionne, annunciando l'operazione di spin off del titolo azionario della Ferrari, è riuscito a far salire la quotazione in borsa al punto che l'AD di FIAT e presidente di Ferrari ha deciso di esercitare i diritti sulle sue stock option, guadagnano sull'unghia 10,7 milioni di euro (le relative tasse verranno pagate in Svizzera). Siamo sicuri che renziani e twitteriani vari, se l'avessero scoperto, avrebbero gridato allo scandalo e rivisto le loro categorie di 'credibilità' e soprattutto di 'fankazzismo'

domenica 2 novembre 2014

I lati oscuri del (bio)potere

A furia di leggere Michael Foucault, di parlare di biopotere, controllo sulla nuda vita, homo sacer, governamentalità del corpo sociale ecc. è molto probabile che abbiamo perso di vista la realtà, edulcorandola con le nostre astrazioni intellettuali. I recenti fatti, in particolare l'aggressione ai lavoratori delle acciaierie di Terni da parte della polizia e il proscioglimento degli agenti responsabili della reclusione di Stefano Cucchi - il tutto condito da esternazioni governative all'insegna del 'si fa come diciamo noi' e da minacce di abolizione del diritto di sciopero da parte di gente con frequentazioni alle isole Cayman - ci dimostra senza timore di smentite che il potere, con buona pace dei filosofi postmoderni, essenzialmente consiste nella possibilità di agire senza dover rendere conto a nessuno, persino (anzi, soprattutto) se c'è di mezzo la vita di qualcuno. Più o meno la stessa concezione che potevano avere i babilonesi.
L'assoluzione degli aguzzini di Cucchi ha giustamente sconvolto gran parte dell'opinione pubblica. I giudici della corte d'appello, come hanno spiegato in molte occasioni fior di giuristi, non si occupano del secondo grado perché più bravi o competenti di quello del primo: semplicemente, messi a confronto con le prove esibite nel processo precedente, possono dare diverse interpretazioni. Invece hanno dichiarato solennemente che le prove 'non esistono', invitando a evitare qualsiasi 'gogna mediatica' (per chi? per la famiglia Cucchi? per l'imputato che alla lettura della sentenza ha alzato il dito medio in segno di euforia? per loro stessi che malgrado tutto si vergognano ad aver apposto la faccia su di un simile obbrobrio?).
Personalmente, credo che il 'non ci sono prove' vada interpretato alla luce della normalità della situazione carceraria. Rispetto ai fatti della scuola Diaz del 2001, ad esempio, dove furono inventate prove ad hoc contro i manifestanti e dove le procedure vennero violate a più riprese per il clima di eccezionalità del G8, la morte di Cucchi si inserisce in un quadro di tragica normalità. La situazione carceraria italiana è orribile, ce lo ricordano da tempo l'Unione Europea e i radicali: a partire dal sovraffollamento, si ingenera un circolo vizioso che porta al degrado più assoluto, trasformando l'habeas corpus in una barzelletta di cattivo gusto. In questo senso, la sentenza è realista, se non proprio cinica fino al midollo, bypassa la legge e tutte le astrazioni del diritto per riconoscere la realtà di fatto. Si può ovviamente obiettare che, se la giustizia deve consistere in questo, allora non c'è bisogna di giudici o di una magistratura, è più che sufficiente il senso comune.
'Democrazia' significa anche questo, ridurre il numero di soggetti che possono agire in modo irresponsabile, compresi gli organi di repressione dello stato. Vedremo se le cronache di questi giorni rimarranno un fatto isolato oppure saranno il preambolo di una svolta autoritaria, tra potere e biopotere. Forse un'Italia integrata nelle logiche del TTIP  e dove elezioni devono far emegerere sempre e comunque un 'vincitore' (cioé uno che fa quello che vuole), un'Italia che con vent'anni di ritardo aderisce al TINA (There Is No Alternative) di Margaret Thatcher, forse questa Italia ha bisogno di una polizia con licenza di uccidere o quantomeno di pestare. Per il momento, due punti a favore dell'autoritarismo.

 

venerdì 17 ottobre 2014

Non solo Genova

Così come non si dovrebbe giudicare i libri dalle copertine,  allo stesso modo non si dovrebbero giudicare i talk show senza averli visti integralmente in televisione, per quanto la loro dignità sia nettamente inferiore a quella dei libri. Tuttavia, oramai sono troppo vecchio e il mio fegato troppo logoro per sopportare due ore di Servizio Pubblico, per cui giudico la puntata di giovedì scorso dagli spezzoni disponibili on line sul sito della trasmissione. Sinceramente, non credo di essermi perso troppo per quanto riguarda i pezzi ritenuti non meritevoli di condivisione in Rete.
Sintetizzando, la trasmissione è vissuta su questi momenti principali: il 'giustizialista' Travaglio contro il ceto politico genovese, l'ex sindaco ed ex ministro Burlando a sua difesa, Villaggio contro i suoi (ex) concittadini e infine Maurizio Corona, che ha cercato di ricondurre il discorso dalle responsabilità individuali alle cause scatenanti: le caratteristiche fisiche dell'acqua e la necessità di darle lo sfogo necessario per evitare il dissesto geologico. 
In questo dibattito eterogeneo, se si eccettua l'intervento di buon senso di Corona, tutti hanno avuto torti e ragioni, anche se non nelle medesime proporzioni.
Travaglio ha perfettamente ragione nel puntare il dito contro le amministrazioni cittadine, condivido inoltre le ragioni che lo hanno portato ad abbandonare lo studio - il concetto di 'libero dibattito' di Santoro, spesso, è abbastanza distorto. Le repliche di Burlando contro gli atti di accusa del giornalista torinese sono stati abbastanza patetici.
Villaggio, che quando non recita nei telefilm diventa una figura a metà tra un filosofo cinico e Catone il Censore, avrebbe potuto correggere il tiro delle affermazioni di Travaglio, ma ha proferito un'invettiva contro gli 'angeli del fango' e i genovesi in generale più teatrale che di sostanza. E' vero che Genova rappresenta il lato oscuro di un modello di sviluppo largamente condiviso dai cittadini, con poche eccezioni, da questo punto di vista i politici hanno messo in pratica (certamente degenerandola, anche per interesse personale) una volontà popolare, che però non è prerogativa del popolo di Genova, bensì di tutto il mondo industrializzato. Il capoluogo ligure è l'esemplificazione locale di un problema drammaticamente globale, la città non può essere semplicemente 'ricostruita' ma va 'risistemata'. Come ha ben detto Corona, alcuni edifici e alcuni tombamenti di fiumi andranno inevitabilmente distrutti per consentire uno scolo delle acque accettabile.
Travaglio e Villagio si concentrano sulle conseguenze, con i loro meriti. Ma è arrivato il momento di concetrarsi una volta per tutte sulle cause, quelle vere e profonde. Non solo per Genova

mercoledì 8 ottobre 2014

Sentinella Fusaro

Scrive Diego Fusaro sul suo profilo Facebook:

Sull'affaire Sentinelle in piedi. Ragazzi che andate a protestare contro la famiglia quando non potete concretamente farvene una (a causa del precariato, della disoccupazione, dei tagli alla spesa pubblica): quando capirete che state facendo il gioco del capitale? Quando capirete che state lavorando per il re di Prussia? E' il capitale che, in nome della flessibilità e della precarietà, sta distruggendo la famiglia come luogo della stabilità affettiva e sentimentale. E voi - che lo sappiate o no - siete dalla parte del capitale.

Premessa fondamentale: personalmente avrei lasciato le Sentinelle in pace e libere di divulgare le loro sciocchezze, in modo da negargli qualsiasi immeritatissima palma di paladini della libertà di espressione. Per il resto, Fusaro dà una rappresentazione totalmente fuorviante della realtà, perché le Sentinelle non difendevano la famiglia bensì il presunto diritto all'omofobia (che poi questo sentimento si possa combattere con norme repressive, come vorrebbe il legislatore, è un altro discorso), così come i loro contestatori non attaccavano la famiglia bensì l'idea per cui è lecito rivendicare dei diritti solo per se stessi e chi condivide le medesime visioni culturali, trasformando il diritto in odioso privilegio. 
Fa una certa impressione inoltre che l'anticapitalista militante Fusaro difenda a spada tratta la famiglia nucleare 'borghese' padre-madre-bambini, favorita in tutti i modi dallo stato capitalista tra il XIX e il XX secolo allo scopo di indebolire i rapporti parentali delle famiglie allargate, aumentando così la capacità di penetrazione del potere sugli individui. Adesso invece la famiglia nucleare nella versione eterosessuale (e tradizionalista) rappresenta il baluardo contro l'avanzata prepotente del Capitale. Prodigi della dialettica storica!
Fusaro e altri 'ribelli' simili contestano che le battaglie LGBT e di genere "fanno il gioco del capitale" perché esulano dalla disputa capitale-lavoro, sono meramente 'sovrastrutturali' perché estranee alla sfera economica, unica meritevole di attenzione e contestazione. Chissà se il giovane filosofo fosse vissuto un secolo fa, quando il movimento operaio era in gran parte ostile al lavoro femminile perché sfruttabile dagli imprenditori per comprimere il mercato del lavoro, che posizione avrebbe tenuto? Avrebbe sostenuto che le donne lavoratrici 'sono dalla parte del capitale'?
Ma rimaniamo sul presente. E' da tempo che Fusaro e compagni mi sembrano 'feticisti del capitalismo', cioé persone il cui scopo primario è combattere il capitalismo in quanto tale e non edificare una società più giusta, dove vengano combattute le storture economiche del capitalismo ma anche tutte le tipologie di dominio e discriminazione. Frasi come "la missione storica della Russia di Putin è di contrastare il capitalismo americano" (sentita una volta su Youtube) e il sostegno alle Sentinelle sembrano mirare in questa direzione. Ogni nemico (presunto) del capitalismo diventa amico, anche se veste i panni del tradizionalismo bigotto o dell'estremismo di destra; qualsiasi pensiero 'forte' è utile contro il dilagare di quello 'debole' neoliberale e postmoderno.
Su di una cosa Fusaro ha sicuramente ragione: le battaglie LGBT non combattono la sfera economica del capitale, che può quindi mostrarsi indifferente al riguardo oppure cavalcarle in modo strumentale per darsi una facciata libertaria. Se ciò rappresenta un peccato mortale per l'anticapitalismo, allora per una questione di coerenza bisognerebbe battersi per la cancellazione totale del welfare state, pensato soprattutto allo scopo di trasformare le classi lavoratrici da antagoniste a controparte del capitale e recidere qualsiasi ambizione socialisteggiante.
Se devo scegliere nell'ambito del marxismo, butto sicuramente Fusaro dalla torre per conservare David Harvey,  un marxista che nel recente libro Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo sottolinea come la contraddizione  capitale-lavoro, oggi meno importante che in passato, sia solo una delle tante (17 a suo giudizio) che lo contraddistinguono. La contraddizione finale è quella tra alienazione umana e desiderio di rivolta e di riconquista della propria esistenza. E qui si inseriscono le lotte LGBT, su di un terreno che vuole abbattere tutte le forme di dominazione sull'individuo e di gerarchia non necessaria. Il comunismo sovietico insegna che una battaglia esclusivamente economica conduce a nuove e non meno oppressive dominazioni, per altro una visione esclusivamente economicista del mondo è quanto di più borghese possa esistere. Il capitalismo sarà finalmente superato, forse, proprio nel momento in cui saremo capaci di dare la priorità a esigenze umane diverse dalla necessità economica. La mentalità che vorrebbe privilegiare un aumento salariale al diritto di gay, lesbiche, bisex e transgender di vivere a pieno diritto e senza vergogna la loro esistenza affettiva (ammettendo per assurdo che ciò sia in contraddizione con la tutela del lavoro), mi sembra degna di un broker di Wall Street e per nulla rivoluzionaria.
Benché non ritenga affatto Fusaro un seguace dello stalinismo, ho il sospetto che il suo mondo ideale sarebbe privo del capitalismo ma pieno di altre dominazioni, molte delle quali conseguenza dell'aver scelto improbabili alleati contro il Capitale. Fusaro - che lo sappia o no - sta dalla parte dell'oppressione. 

giovedì 25 settembre 2014

Il tempo dei compromessi è infinito

Se a dire "Con Renzi finisce l'autorevolezza della politica" è Raffaele Bonanni, si corre il rischio veramente di legittimare il premier fiorentino come  homo novus della politica alternativo al vecchio establishment. Se poi anche il direttore del Corriere della Sera De Bortoli si sente in dovere di strigliarlo, la sensazione diventa ancora più forte. 
Ovviamente, il grado di 'novità' di Renzi è uguale a quello del vino vecchio travasato in un'altra bottiglia, per cui le preoccupazioni di Bonanni e De Bortoli vanno approfondite. Scrive il direttore del Corriere nell'editorale incriminato: 
 
"Devo essere sincero: Renzi non mi convince. Non tanto per le idee e il coraggio: apprezzabili, specie in materia di lavoro. Quanto per come gestisce il potere. Se vorrà veramente cambiare verso a questo Paese dovrà guardarsi dal più temibile dei suoi nemici: se stesso. Una personalità egocentrica è irrinunciabile per un leader. Quella del presidente del Consiglio è ipertrofica. Ora, avendo un uomo solo al comando del Paese (e del principale partito), senza veri rivali, la cosa non è irrilevante". 
 
La buona borghesia italiana - editore naturale del quotidiano di Via Solferino - apprezza la veemenza con cui Renzi tuona contro il sindacato, ma comincia a preoccuparsi per il decisionismo e le promesse di 'cambiamento violento' sventolate ai quattro venti dopo il viaggio negli USA e il colloquio privato con la famiglia Clinton, che quanto a violenza se ne intende. Forse per questo De Bortoli chiude così:
"Un consiglio: quando si specchia al mattino, indossando una camicia bianca, pensi che dietro di lui c’è un Paese che non vuol rischiare di alzare nessuna bandiera straniera (leggi troika)".
 
E' curioso invece come un altro grande vecchio del giornalismo italiano ed emissario di poteri forti, Eugenio Scalfari, recentemente abbia appoggiato misure volte alla riduzione di sovranità nazionale in favore di organismi europei. Che sia in corso un dibattito all'interno del mondo industriale e finanziario italiano? E che, contrariamente agli stereotipi, paradossalmente (ma neanche troppo, per la verità) l'ala 'sinistra' rappresentata da Repubblica appoggi la visione renziana decisionista ed europeista rispetto un'ala 'conservatrice', incarnata dal Corriere timorosa di conseguenze non liete?
Difficile a dirsi. Sicuramente Renzi, dopo un'approvazione generale unanime, viene sicuramente tirato per la giacca in più direzioni. E questa volta difficilmente il poliedrico politico 'del fare' se la caverà con una battuta, visto che di fronte non ha più semplicemente i leader dei discreditati sindacati, bensì persone che non accetteranno risposte come 'il tempo dei compromessi è finito', non foss'altro per il fatto che Renzi deve a loro il posto che occupa.
 

sabato 6 settembre 2014

Contro il merito

'Merito' è una delle parole più abusate negli ultimi anni dalla politica, anche se il concetto è assolutamente estraneo al politico. La politica è fatta di alternative degne di considerazione, mentre il merito è tautologico, non avrebbe alcun senso affermare solennemente di promuovere la mediocrità; al più si possono denunciare le situazioni in cui si ritiene che il merito non venga premiato. Ma come si misura il merito?
Nello sport è molto semplice: si premiano i primi classificati, anche se persino in quest'ambito ci si lamenta spesso che il tal altleta o la tal squadra "avrebbe meritato di più". Anche nella scuola teoricamente non dovrebbero esserci problemi, se non fosse per il fatto che la valutazione è discrezionale e, soprattutto, che non tutti partono dalle stesse possibilità economiche e familiari, cosa che può aver ripercussioni enormi sugli stimoli a cui si è sottoposti da bambini, riflettendosi sulle abilità logiche elementari. E' probabile che dislessici come Albert Einstein, Alexander Graham Bell, Thomas Edison o Michael Faraday all'inizio del loro percorso di studi non 'meritassero' granché, che apparissero persone con qualche qualità in alcune discipline e totalmente inette in altre.
Può persino capitare che il merito non premi i migliori. Michelangelo è un ottimo candidato quale artista maggiore di tutti i tempi, ma il suo carattere "ostile alle relazioni umane" - come lo definiva Monsignor Paolo Grovio - è l'esatto contrario di quello che si chiede oggi al lavaratore 'meritevole'. Tutti i geni che non si sono conformati alle regole non erano 'meritevoli', altrimenti non sarebbero stati per lo più incompresi.
Possibile che il compito di Renzi, che del resto non è altro che la versione italiota della vulgata neoliberale, sia di fare speculazioni filosofiche tra meritevoli e migliori? Difficile. Il 'governo dei migliori' storicamente è già esistito e ha coperto una fetta significativa della storia umana, era quello dell'aristocrazia. E il vero merito degli aristocratici era di essere nati al momento giusto, al posto giusto e soprattutto nella famiglia giusta. Vista in quest'ottica, l'attuale crociata per il merito puzza di campagna contro il principio di uguaglianza. Cosa fare del 'non meritevole'? Ha diritto ancora a welfare e assistenza dallo Stato o li ha irrimediabilmente perso 'demeritando', oppure si dovrà accontentare di diritti di serie B?
 Ecco il vero rischio che si annida dietro alla retorica del merito: quello del darwinismo sociale camuffato da obiettività e  ragionevolezza.

martedì 26 agosto 2014

Scuole private, pubbliche virtù

Non si può biasimare più di tanto il ministro all'istruzione Giannini per le dichiarazioni rilasciate al Meeting di Rimini in materia di scuola, che parlano di introduzione dei capitali privati nella scuola tramite appositi sponsor, di scatti stipendiali legati al 'merito', di finanziamento agli istituti privati paritari... tutto in nome di una visione 'pragmatica' scevra da 'pregiudizi ideologici' e della 'libertà di scelta'. Certo poteva evitare di definire i supplenti "agente patogeno del sistema scolastico, batterio da estirpare", oppure di ricorrere a espressioni come "rivisitazione rivoluzionaria delle regole del gioco", ma si sa del resto che chi si oppone al governo Renzi è un 'gufo' o peggio e che ogni cosa che fa questo esecutivo come minimo è 'storica' o appunto 'rivoluzionaria'.
In realtà la Giannini ha ripetuto le solite solfe che si sentono dai responsabili del dicastero dell'istruzione dai tempi di D'Onofrio (1994, primo governo Berlusconi) e che vengono ribadite con decisione specialmente davanti a platee interessate come quella riminese. Non bisogna quindi fargliene una ragione personale.
Il fatto è che l'istruzione rappresenta un cruccio non da poco per la governamentalità di tipo neoliberale (ma anche per quelle di altro genere), di cui Renzi è forse la maggior espressione mai avuta in Italia, molto più di quanto avvenuto con i governi di Berlusconi la cui azione 'riformatrice' era 'temperata' dagli interessi personali e dalle grane giudiziarie del tycoon di Arcore. 
Da una parte si riconosce la necessità di formare la popolazione, ma istintivamente i governanti provano sempre un po' il complesso di Baldur von Schirach, il famigerato leader della gioventù Hitleriana che, alla parola 'cultura', metteva istintivamente mano alla pistola. Per tutta una serie di ragioni, un 'buon professore' è sempre un 'cattivo maestro'. Da una parte esiste la facciata dei valori repubblicani di libertà, indipendenza di pensiero, uguaglianza solidale, dall'altra una realtà fatta di competizione, efficienza e 'merito' inteso come legittimazione della disuguaglianza: il bravo professore è quello capace di rendere accettabile lo scarto tra ideale e reale, o meglio che faccia capire come la proclamazione dei valori sia una facciata di legittimazione per provvedimenti pragmatici, dando a tutto ciò una connotazione positiva. Un'impresa non da poco, specialmente quando hai a che fare con giovani menti non del tutto corrotte.
Quindi esistono due varianti di cattivo insegnante: quello che  non rispetta le clausole del contratto di servizio e quello che prende troppo sul serio la sua mission, che si rapporta con alunni e non con 'utenti', che ragiona in termini di progetto educativo e non di 'piano dell'offerta formativa', di lacune da colmare e abilità da valorizzare e non di 'debiti' e 'crediti'. Per la scuola della concorrenza, del merito e dell'investimento privato probabilmente è più facile redimere la prima figura che la seconda. 
La scuola di per sé non è un valore - il sapere e la cultura lo sono - come sottolineava Ivan Illich è un'istituzione abbastanza prevaricatrice, e deve dare davvero tanto alla cittadinanza per legittimare la sua esistenza. Nel caso diventasse un 'batterio da estirpare', sarà bene cercare nuove forme di promozione per cultura e conoscenza, e poi agire di conseguenza.

martedì 12 agosto 2014

Il messaggio è il medium

Qualche giorno fa Giulietto Chiesa ha pubblicato sulla sua pagine Facebook questa immagine:


La fonte da cui l'aveva tratta riferiva di una bambina palestinese coinvolta nell'offensiva di Gaza, cosa che sembrava perfettamente plausibile. Ben presto, Chiesa è stato subissato di commenti estremamente aggressivi e accusatori, in quanto si è scoperto che l'immagine in realtà risale al 2009 e raffiugura una bambina turca e non palestinese: secondo molti, il giornalista avrebbe agito in modo non deontologico allo scopo di infangare Israele. 
Sono ovviamente di farneticazioni insensate. Sono sicuro che Chiesa non avrebbe pubblicato sulla fiducia, ad esempio, una foto presa a casaccio dal Web che raffigurasse soldati israeliani intenti in crudeltà gratuite sui civili. E poi cosa vuol dire, che in Palestina non stanno morendo bambini, quando si sa con certezza che persino le scuole dell'ONU sono divenute obiettivi militari? E che le bambine palestinesi coprano o meno gli occhi alle bambole nel tentativo di risparmiarle l'orrore ha qualche importanza, al di là dei sentimenti toccanti che ispira il gesto?
Io stesso, quasi contemporaneamente a Chiesa, sono stato vittima di un evento simile. Su Facebook -in un modo o nell'altro questo social network è sempre coinvolto - avevo trovato un post che riferiva a questo articolo, inerente alle dichiarazioni di Renzi sulla Palestina espresse durante la direzione del PD del 31 luglio. Il testo, intitolato Israele fa bene ad attaccare i palestinesi per difendersi? Sdegno delle comunità pacifiste, recitava:

Roma, 31 lug. (TMNews) – Per provare a risolvere il conflitto arabo-palestinese c’è “un’unica carta” da giocare, quella rappresentata dalla “proposta egiziana”. Lo ha detto il presidente del consiglio Matteo Renzi parlando alla direzione del partito: “C’è un’unica carta che oggi va giocata, a mio giudizio, al di là delle prese di posizione di principio: è la proposta egiziana, su cui dobbiamo insistere e investire. Federica è stata al Cairo, sabato ci sarò anche io – forse primo capo di governo sotto presidenza al Sisi – ma credo sia un fatto importante che si collega per l’Italia al primo viaggio fatto in Tunisia, all’investimento fatto in alcuni paesi e al tentativo di creare occasioni di dialogo”. Resta il fatto che Israele deve attaccare i terroristi palestinesi per estirpare la piaga del terrorismo di Hamas anche a costo di qualche vita in virtu di un bene superiore.

Ingenuamente non ho fatto attenzione al virgolettato, sono stato assalito dallo sdegno e ho realizzato un post per questo blog, che è stato on line per qualche minuto. Poi sono stato assalito dal dubbio che un maniaco della comunicazione e del marketing politico come Renzi non potesse cadere in una simile buccia di banana. Un conto è vendere cacciabombardieri a Israele e concedergli l'addestramento nei nostri poligoni, un altro sono candide ammissioni di valore: possono capitare, ma raramente a imbonitori del livello del nostro premier. Ho visitato quindi il sito di TMNews, constatato le affermazioni reali e ho cancellato il post.
In entrambi i casi - la foto e le dichiarazioni di Renzi - non c'era alcun bisogno di modificare i fatti, la tragedia della Striscia di Gaza e la complicità italiana nella dominazione israeliana sono evidenti. Perché allora qualcuno ha sentito l'esigenza di 'potenziare' la realtà, con le conseguenti accuse di distorsione una volta scoperte le manipolazioni?
Mi viene da pensare che l'uso di Internet stia stravolgendo in molti non solo la percezione della realtà, ma il concetto di realtà stessa. Nell'era dell'informazione alla velocità della luce, eccessiva e destinata a rapida obsolescenza, l'emozione si adatta meglio della riflessione, proprio perché la prima è veloce, mentre la seconda richiede tempo. Ho il sospetto però che, in una società basata principalmente sulle emozioni, l'empatia non sarebbe quella fondante, ma che a prevalere sarebbero altre meno meritevoli di encomio.
"La società elettronica... non ha scopi e obiettivi ben radicati né una propria identità. In essa l'uomo non si evolve più rimanendo legato alla terra, ma diventa egli stesso elemento di informazione astratta nell'interesse degli altri. Privo di costrizioni, di limiti e di guida, può facilmente ricadere in un mondo basato sull'intuizione primordiale. La perdita dell'individualismo spinge a ricercare, ancora una volta, il conforto della lealtà tribale". Parola di Marshall  Mcluhan, uno che ci capiva.

mercoledì 16 luglio 2014

Dentro e fuori la Palestina

Ogni volta che c'è un'operazione militare israeliana nei territori occupati, non vedo l'ora che termini sia per solidarietà verso le vittime del conflitto, sia per la penosità dei commenti che questo triste (e criminoso) evento è capace di scatenare. Posso comprendere l'indignazione per il dolore provato da vittime innocenti ma, forse, di fronte al carattere oramai quarantennale di questa situazione bisognerebbe mettere da parte le reazione 'di pancia' e ragionare nel modo più freddo e geopolitico possibile, non come ultras di opposte tifoserie.
Sul piano del diritto non ci sono dubbi: l'occupazione israeliana è illegale e deve cessare, come ha più volte ripetuto l'ONU, e se Israele è riuscita a evadere questo obbligo la causa è il sostegno statunitense e più in generale dell'Occidente. Non importa se l'occupante è laico, liberale e democratico mentre l'occupato è teocratico, fondamentalista e autoritario; e neanche i dubbi leggittimi sulle possibilità reali di sopravvivenza di un eventuale stato palestinese possono cambiare questa verità di fatto.
Quello di Israele in Palestina è uno degli ultimi esempi di colonialismo diretto ancora esistente nel mondo. Israele non è assolutamente uno 'stato nazista', bensì colonizzatore, ed è strano che noi europei - iniziatori del colonialismo - non riconosciamo nel metodo di governo israeliano i caratteri coloniali, basati sulla distinzione tra cittadini con pieni diritti e colonizzati. Però la Palestina  confina direttamente con lo stato colonizzatore, problema che per la Gran Bretagna e la Francia non sussisteva, ad esempio, e ciò espone tantissimo la popolazione israeliana.  Del resto quello sta facendo attualmente Israele, costituitasi come stato solo nel 1948, gli stati-nazione europei mutatis mutandis lo hanno fatto tra il XIII e il XVI secolo: omogeneizzazione etnica della popolazione attraverso genocidi, conquiste territoriali e assoggettamento dei popoli locali... Il problema in sé non è stato il 'sionismo' - parola che oramai non significa quasi più nulla -  ma averlo elevato a stato-nazione, quando invece per Israele e tutta l'area mediorientale post-coloniale era necessaria una forma di governo differente.
Cosa che invece non è stata fatta, e a qui dobbiamo risalire per comprendere la portata reale del problema israelo-palestinese. I complottisti hanno la risposta pronta per spiegare lo status coloniale e sprezzante del diritto di Israele: le 'lobby ebraiche' ('sioniste' nella versione politically correct). Effettivamente, esistono delle potenti lobby internazionali con a capo personalità di origine ebraica, e l'egoismo e l'avidità di queste persone è pari a quelle dei colleghi non-ebrei, cosa che mi rende difficile immaginare qualsiasi idealismo o empatia verso qualcuno che non sia loro stessi o i parenti prossimi, non parliamo di popoli e nazioni. C'è poi una cosa molto strana: queste lobby sono potentissime, controllano i mass media, eppure in quarant'anni una potenza atomica non è riuscita a  stroncare un nemico senza artiglieria e aviazione? Colpa dell'esposizione mediatica di giornali e TV sempre presentati come servi delle suddette lobby? Eppure i russi sono riusciti a far sparire Grozny quasi nel silenzio generale. Merito delle lobby russe?
Piuttosto, è strano come vengano completamente ignorate le 'lobby arabe' , malgrado si lancino in operazioni commerciali di primo piano come l'acquisto dell'Arsenal, del PSG o quello in corso di Alitalia; i fondi sovrano dei paesi arabi investono massicciamente in Occidente, basterebbe schioccare un dito e minacciare di ritirare i capitali per imporre una soluzione da subito della questione Palestinese. Tuttavia, sembra che i padroni delle lobby arabe siano altrettanto egoisti e avidi quando i colleghi ebrei, cristiani, atei. 
Il problema di fondo della questione palestinese potrebbe essere molto più semplice di quanto pensano i cospirazionisti: petrolio. Finché il petrolio rimarrà la fonte energetica fondamentale, è quasi sicuro che la zona mediorientale debba rimanere una zona ricca di focolai di tensione, mentre una soluzione tra Israele e Palestina sortirebbe l'effetto opposto. Se la situazione non è abbastanza calda in Siria, in Iran o in un altra parte della regione, l'occupazione israeliana è costante  e sempre pronta a sfociare in azioni militari, non è difficile provocare i fanatici coloni o Hamas. Quello che è difficile è far prevalere la ragione sull'odio e il dolore. Quando più nulla importa, quando criminali e innocenti pari sono, le ragioni finiscono. L'occupazione palestinese palesa l'assurdita della civiltà del petrolio, quella della crescita e dei consumi infiniti, mostrando il suo lato oscuro e crudele. Intervenire sulla nostra fame di petrolio è sicuramente un modo migliore di aiutare i palestinesi rispetto a esprimere commenti di dubbio valore.

giovedì 3 luglio 2014

Caro pidino ti scrivo...

Lo so, replicare alle lettere inviati ad altri destinatari è un segno di grande maleducazione. Tuttavia, non sono riuscito a trattenermi dal rispondere alla lettere aperta scritta da "Alessandra, Debora, Matteo, Roberto" ai parlamentari pentastellati Di Maio, Toninelli, Brescia e Buccarella. In corsivo le mie personali opioni.

Gentili onorevoli Di Maio, Toninelli, Brescia e Buccarella,

vi ringraziamo innanzitutto per la disponibilità al confronto sulla legge elettorale e sulle riforme. E anche per la civiltà del confronto dello scorso 26 giugno. Si possono avere idee diverse ma riuscire a parlarsi ed ascoltarsi serve. Serve sempre. (Quello che è successo con Corradino Mineo ne è una fulgida testimonianza)
Come forse ricorderete la nuova segreteria del Pd – eletta da un processo democratico che ha coinvolto circa tre milioni di persone – ha immediatamente tentato di aprire un canale di collegamento con voi. L'esito non è stato fortunatissimo, all'inizio. Ma non abbiamo mollato come potete vedere (intervista al “Fatto”, lettera ai partiti).
Le vostre posizioni sulla legge elettorale sono state nei mesi molto diverse. Dalla mozione Giachetti in cui avete votato a favore del Mattarellum, al post di Beppe Grillo che si schierava per il voto con il Porcellum, all’altro post in cui il vostro fondatore proponeva di votare con il Consultellum. Il tutto intervallato da due progetti di legge con primo firmatario l'onorevole Toninelli.

Ci pare di aver capito che fa fede l'ultimo Toninelli e che siate disponibili a riflettere insieme anche sulle riforme costituzionali e istituzionali. Proviamo a entrare nel merito.

Se siamo d'accordo, vediamo quattro limiti invalicabili al Toninelli-Bis:

1) Non c'è la certezza di avere un vincitore. Con il vostro sistema non c'è governabilità. (La democrazia dovrebbe essere annoverata tra gli sport olimpici... 'vincere' e 'perdere' sono concentti dell'agonismo, non della politica. E la miglior forma di 'governabilità', intesa come governo che ha carta bianca, beh, allora non c'è dubbio: è la dittura!)
2) Le alleanze si fanno dopo le elezioni, non prima. Con il vostro sistema si istituzionalizza l'inciucio ex post. (Azz, il patto del Nazareno con Berlusconi deve essere stato un caposaldo della propaganda renziana alle primarie e mi è sfuggito... che sbadato che sono!)
3) Il sistema della preferenza negativa attraverso l’eliminazione di un nome è molto complicato. Con il vostro sistema si rende più difficile il voto. (In effetti quello del PD è molto più semplice: una scheda e due simboli, a prova di idiota!)
4) Ci sono collegi in cui sulla scheda i nomi scritti sarebbero oltre 40. Con il vostro sistema in alcuni collegi la scheda elettorale diventa un lenzuolo

Avete correttivi per questi quattro punti? Ritenete sbagliate le nostre osservazioni? Diteci con franchezza le vostre. Siamo pronti a confrontarci insieme. Per questo vi poniamo dieci ulteriori elementi di riflessione.

1. Per noi un vincitore ci vuole sempre. L'unico modello che assicura questo oggi in Italia è la legge elettorale che assegna un premio di maggioranza al primo turno o al secondo turno. Il Movimento 5 Stelle, per esempio, ha vinto a Parma, Livorno e Civitavecchia nonostante al primo turno abbia preso meno del 20% dei voti. Però poi al ballottaggio ha ottenuto la metà più uno dei votanti. Vi chiediamo: siete disponibili a prevedere un ballottaggio, così da avere sempre la certezza di un vincitore? Noi sì. (Io no. Il ballottaggio è per la scelta del sindaco, cosa c'entra in una repubblica parlamentare... ops... devo aver detto qualche parolaccia... chiedo venia)
2. Siete disponibili ad assicurare un premio di maggioranza, al primo o al secondo turno, non superiore al 15%, per garantire a chi ha vinto di avere un minimo margine di governabilità? Noi sì. (Io no. Persino il presidente degli USA, il sistema presidenziale per eccellenza, rischia continuamente di dover governare con un Congresso controllato dal partito rivale!)
3. Siete disponibili a ridurre l'estensione dei collegi? Noi sì.
4. Siete disponibile a far verificare preventivamente la legge elettorale dalla Corte Costituzionale, così da evitare lo stucchevole dibattito “è incostituzionale, è costituzionale”? Noi sì. (L'incostituzionalità dell'Italicum potrebbe certificarla anche un bambino... non recepisce alcuna delle obiezioni della consulta sul Porcellum, anzi lo peggiora un po')
5. Siete disponibili a ridurre il potere delle Regioni modificando il titolo V e riportando in capo allo Stato funzioni come le grandi infrastrutture, l'energia, la promozione turistica? Noi sì. (Io no. Come spiegò una volta un finanziere intervistato da Report, l'unico argine alla privatizzazione dei servizi pubblici locali e l'unico ostacolo alle grandi opere proviene proprio da qui, dal controllo esercitato dalle Regioni. Non è strano la fretta del PD sul Titolo V?)
6. Siete disponibili ad abbassare l'indennità del consigliere regionale a quella del sindaco del comune capoluogo ed eliminare ogni forma di rimborso ai gruppi consiliari delle Regioni? Noi sì.
7. Siete disponibili ad abolire il CNEL? Noi sì. (Io no. Non che il CNEL sia il massimo della partecipazione democratica, tuttavia attribuire poteri enormi al governo e abolire un organo consultativo partecipato anche da lavoratori e categorie produttive significa eliminare un importante contrappeso del governo)
8. Siete disponibili a superare il bicameralismo perfetto modificando il Senato in assemblea che non si esprime sulla fiducia e non vota il bilancio? Noi sì. (Io no. Quante porcate in Italia sono state evitate grazie alla doppia lettura Camera-Senato?)
9. Siete disponibili a che il ruolo del Senatore non sia più un incarico a tempo pieno e retribuito, ma il Senato sia semplicemente espressione delle autonomie territoriali? Noi sì. (Io no. Parlare di 'autonomie territoriali' quando le si vuole spogliare di qualsiasi prerogativa... è fare del sarcasmo)
10. Siete disponibili a trovare insieme una soluzione sul punto delle guarentigie costituzionali per i membri di Camera e Senato, individuando una risposta al tema immunità che non diventi occasione di impunità? Noi sì. (Io no. Il Senato di trombati e per di più con l'immunitù è un'offesa al pudore)

Su questi temi, se volete, noi ci siamo. Anche su altri temi, se vi va. Avete molti parlamentari europei, ad esempio: sarebbe bello riuscire a dimostrare all'Europa che tragiche vicende come quelle che si verificano nel Mediterraneo debbono essere affrontate tutti insieme. (Curioso di vedere come si affronteranno le tragiche vicende del Mediterraneo ossessionati dal pensiero della 'crescita', possibile grazie allo sfruttamento dell'Africa) Si possono voltare le spalle all'Inno, non si possono voltare le spalle ai problemi (Però si può anche voltare le spalle ai problemi con la mano sul cuore). Ma non vogliamo mettere troppa carne al fuoco. Noi su legge elettorale e riforme costituzionali siamo pronti a vederci. Se prima ci rispondete, il dialogo sarà ancora più utile.

Noi ci siamo. Senza la pretesa di aver ragione. Senza l'arroganza di fare da soli. Ma anche senza alibi e senza paura. Un mese fa, oltre il quaranta per cento degli italiani ci ha chiesto di cambiare l'Italia per cambiare l'Europa (a ridaie con questo 40%... avete preso meno voti di Veltroni!) Non possiamo tradire quella speranza. Ci piacerebbe che potessimo farlo anche assieme a voi perché pensiamo che i nostri connazionali che hanno votato per il Movimento Cinque Stelle chiedano, come tutti, un Paese più semplice ed efficace (spero che il concetto dei 5S di 'semplicità' ed 'efficacia' sia diverso da quello del PD).

Attendiamo le Vostre considerazioni.

Un saluto cordiale,
per il Pd

Alessandra, Debora, Matteo, Roberto (Forse era meglio Ale, Debbie, Mat, Robbie)

Roma, 1 luglio 2014

mercoledì 25 giugno 2014

L'irrealismo del pragmatismo

Sembra passato un secolo da quando Grillo diceva 'chi ci ha votato per un'allenza con il PD ha sbagliato a votarci', urlava in faccia a Renzi 'non sei credibile', vomitava improperi contro la televisione dalle piazze, attaccava Napolitano. Il M5S ha scelto l'approccio del 'pragmatismo', ben prima della sconfitta elettorale come dimostra l'abbraccio mortale tra Grillo e Vespa. Detto in poche parole, 'pragmatismo' significa che si smette di agire in base a un criterio di giustizia ma in base all'utilità del momento.
Quindi diventa pragmatico fare una comparsata nel peggior talk show politico della televisione italiana (e probabilmente del mondo). Quindi diventa pragmatico allearsi con il partito di Nigel Farage, pur condividendo poco o niente, perché così si ottengono delle agevolazioni a livello di gruppo parlamentare a Strasburgo. Quindi diventa pragmatico confrontarsi con il premier sulla base della 'legittimazione popolare' avvenuta con le elezioni europee, omettendo quindi di denunciare che il tanto osannato 40,8% è in realtà un dato inferiore a quello del PD veltroniano (altrimenti la sconfitta pentastellata sarebbe ancora più evidente) e accettando invece di diventare i veri legittimatori di Renzi, dandogli quella patente di 'credibilità' aspramente respinta nel primo incontro-scontro on line. Quindi diventa 'pragmatico' accettare che la 'governabilità', e non la democrazia, debba diventare il criterio guida fondamentale della vita istituzionale.
Intendiamoci, quando si accetta la via del parlamentarismo questa separazione parziale tra mezzi e fini diventa praticamente inevitabile. I Verdi tedeschi, che in origine si presentarono alle elezioni politiche solo allo scopo di fare 'tribunato', non andarono molto lontano con questo atteggiamento. Il M5S ha deciso di diventare 'come gli altri', almeno per ora, solo per quanto riguarda gli aspetti più nobili della democrazia rappresentativa. E poi un confronto sulla legge elettorale, che va cambiata, è sicuramente necessario.
Adesso però l'effetto sorpresa del M5S ("siamo uno tsunami") si è definitivamente esaurito, e giocare sul piano del pragmatismo con certe persone è come fare il bagno in mezzo all'oceano circondati da un branco di squali bianchi affammati. Renzi ha subito fiutato odore di preda, invitando i pentastellati a un confronto sulle riforme costituzionali, che significherebbe passare da 'pragmatismo' a 'disfatta', e per tutto il paese. Se il M5S accetta di confrontarsi su questo tema, anche rifiutando in toto le proposte renziane, se accetta di entrare in un processo di modifica della legge fondamentale dello Stato promosso da un parlamento di deputati nominati per di più da una legge elettorale dichiarata incostituzionale, farebbe molto peggio che accettare maxi-stipendi o rimborsi elettorali gonfiati. Non solo darebbe legittimità  a una classe politica che, al di là delle facce belle e giovani, ha come unico motto 'si fa come diciamo noi', ma soprattutto contribuirebbe a demolire l'unico argine contro l'autoritarismo strisciante di cui si fa promotrice. Per difenderlo occorre ritrovare 'irrealismo', 'negatività' e 'spontaneismo', e anche urlare un bel po' se necessario.

giovedì 12 giugno 2014

Delegittimazione popolare

I ballottaggi per le elezioni amministrative hanno visto un ulteriore calo dell'affluenza alle urne, inferiore al 50%, cioé in linea con il dato complessivo delle Europee, considerando tutti i paesi aderenti all'Unione. Tutto ciò deve farci seriamente riflettere sulla tenuta democratica delle istituzioni nazionali e sovranazionali.
A scanso di equivoci, non le ritengo illegittime per il fatto che non riescano più a coinvolgere la popolazione: illegittime sono le istituzioni basate sulla coercizione apertamente violenta, che non riconoscono il minimo valore alla sovranità popolare. Se la sovranità appartiene veramente al popolo, come recita il dettato costituzionale, allora significa che le istituzioni apatiche attuali sono delegittimate, cioé agiscono in base a un consenso largamento minoritario e sotto pesante sfiducia della popolazione. Ciò non impedisce loro di svolgere le funzioni a cui sono preposte, tuttavia i politici che le compongono, specialmente quelli che occupano sedi di governo, devono essere consapevoli del loro carattere minoritario, evitando qualsiasi soluzione verticistica e ricercando invece il più possibile dialogo e mediazione con il popolo sfiduciato.
In caso contrario, se agissero come sostenuti da un mandato plebiscitario, allora non sarebbe affatto eccessivo parlare di autoritarismo, e dalla delegittimazione si scivolerebbe pericolosamente verso la vera e propria illegittimità. Proposte di stravolgimento della Costituzione e dichiarazioni come "la concertazione è finita, ascoltiamo tutti e poi decidiamo noi" (sfortunata uscita di qualche settimana fa del ministro Poletti) e le recenti uscite di Renzi non promettono nulla di buono. C'è da sperare che l'attuale arrogante classe dirigente post-rottamazione abbia conservato un barlume minimo di coscienza democratica da non costringere il popolo a scelte sofferte e dilemmatiche.

lunedì 26 maggio 2014

Cronache dall'Oltrevoto

RISULTATI ELETTORALI EUROPEE 2014*-DATI MISURATI IN BASE AGLI AVENTI DIRITTO AL VOTO

  
Astensione                41,3%       

PD                             23,9%

M5S                          12,3%

Forza Italia                9,8%

Lega Nord                  3,6%

NCD-UDC                 2,5%

Lista Tzipras              2,2%

Fratelli d'Italia           2,0%


CONFRONTO RENZI/ALTRI LEADER*

PCI Politiche 1976 (Berlinguer) 12.614.650 voti 


PD Politiche 2008 (Veltroni)      12.092.998 voti

Ulivo Politiche 2006 (Prodi)         11.930.983 voti

PD Europee  2014  (Renzi)           11.201.458  voti

PD Politiche 2013 (Bersani)           8.644.533  voti

 *Il dato sulle elezioni politiche è stato ricavato dalle votazioni alla camera dei deputati. 

Il dato politico più  rilevante della tornata italiana delle elezioni europee è sicuramente l'aumento dell'astensione: era stata il 24,7% alle analoghe consultazioni del 2009, adesso è quasi raddoppiata. Matteo Renzi è riuscito a risollevare il PD di 5 punti percentuali rispetto alla guida di Bersani, ma il 'rottamatore' deve riconoscere la superiorità di molti 'rottamati' illustri: non solo Romano Prodi, ma anche il grande sconfitto del 2008, Walter Veltroni. Siccome in questi giorni si è polemizzato molto sulla figura di Enrico Berlinguer, può essere utile evidenziare che il miglior risultato elettorale del suo PCI supera di quasi un milione e mezzo di voti quello dell'attuale premier.
Il grande sconfitto è il M5S - dimezza i voti - che probabilmente paga una certa autoreferenzialità che ha segnato la formazione dopo il buon risultato delle politiche: forse sarebbe meglio passare a #benecomune e mettere da parte #vinciamonoi, #noioloro, #democraziacongentechecliccadacasaenonconpersoneincarneeossachesiconfrontano.
Dando uno sguardo d'insieme, sembra che gli italiani che credono nel 'sistema politico', cioé nella rappresentatività elettorale con delega in bianco che caretterizza i giorni nostri - quella che dovrebbe essere suggellatta definitivamente dal bipolarismo forzato dell'Italicum, i premi di maggioranza e il monocameralismo - siano circa il 25%, ossia la somma tra PD e NCD-UDC, i due schieramenti che stanno portando avanti convintamente il percorso di riforma costituzionale. Segnaliamo che, anche aggiungendo il dato di Forza Italia, questi tre partiti mettono insieme meno del 30% dei consensi degli italiani, per cui non possono farsi portatori di un sentimento diffuso tra la popolazione per quanto riguarda le modifiche alla legge fondamentale della Repubblica.
Il voto per le altre formazioni - M5S, Forza Italia, Lega, Tzipras, Fratelli d'Italia - con tutte le differenze (anche enormi) del caso, indica un dato comune: la volontà di non piegarsi a quello che qualcuno vorrebbe come nuovo status quo. I primi a congratularsi con Renzi sono stati le borse e i mercati - cioé le maggiori banche d'affari del pianeta - che hanno fatto sentire il loro sostegno al governo mandando a picco lo spread: evidentemente si aspettano che l'attuale esecutivo porti avanti manovre a loro particolarmente care, in particolare privatizzazioni, pareggio di bilancio, indebolimento della legislazione sul lavoro. 
Resta da capire per il futuro se almeno una parte dell'astensione e degli elettori delle altre formazioni politiche riusciranno a dare vita a iniziative capace di contrastare quello che si profila come un evidente progetto di una minoranza. 

 



     





 

 


domenica 11 maggio 2014

Riflessioni a freddo

Oggi voglio parlare del caso di Caterina Simonsen, la studentessa di veterinaria afflitta da gravi malattie genetiche che un paio di mesi fa dichiarò con un video su Facebook il suo parere favorevole ai test sugli animali, a suo giudizio fondamentali nel salvarle la vita; un commento che aprì la classica polemica mediatica una tantum, presto degenerata dalla speculazione lobbystica e indegne minacce di morte alla ragazza.
Ho volutamente aspettato così tanto tempo per non contribuire nell'isteria mediatica e soprattutto perché il tema è quanto mai serio, e merita di essere affrontato anche quando il clamore si è spento, come del resto fanno alcuni gruppi impegnati pro o contro la sperimentazione e la vivisezione.
Personalmente sono solo felice che persone come la Simonsen, malgrado i gravi problemi sanitari, siano vive e abbiano prospettive di una vita migliore, anche se ciò è avviene attraverso medicinali testati su animali, prodotti attraverso processi altamente inquinanti o la biopirateria di paesi in via di sviluppo. Se non proviamo compassione e solidarietà per i nostri stessi simili, non possiamo averne per gli animali o l'ambiente, anche l'antispecismo deve mantenere un'ultima soglia di distinzione a favore degli esseri umani. Tuttavia, discorso diverso è quello che fa Simonsen nei video, che parlando di 'animali sacrificati per la vera ricerca' e delle necessità di proseguire sulla strada della sperimentazione animale ne fa una vera e propria apologia.
Milioni di persone vengono salvate nel mondo dalla rapidità delle ambulanze, tuttavia nessuna credo abbia mai pensato di fare apologia dell'effetto serra per il fatto che un motore a scoppio inquinante sia dotato di una potenza impensabile per un propulsore elettrico. La sperimentazione animale, al di là dei suoi limiti scientifici (consiglio la visione di questo video al riguardo), dovrebbe essere vista in quest'ottica, quella del suo progressivo superamento. 
L'ideologia per cui la natura è uno strumento al servizio dell'uomo si è rivelata un boomerang fatale per l'umanità, così come "il fine giustifica i mezzi". Prenderne definitivamente atto può fare soltanto bene alla ricerca e alla società in genere.

giovedì 17 aprile 2014

Se questo è Grillo (e i suoi nemici)

'Onestà intellettuale' è la condizione necessaria (non sufficiente ahimé) per la ricerca del bene comune, e in questo senso siamo lontani anni-luce: la faziosità imperversa a destra, a sinistra e anche 'avanti'.
Ezio Mauro ha chiamato 'bestemmia sul patto di civiltà' (quale patto? l'accordo Berlusconi-Renzi per rifare la Costituzione?) la riscrittura dell'introduzione di Se questo è un uomo da parte di Grillo, subito accusato di antisemitismo, mentre Massimo Fini ha difeso il diritto di satira del comico genovese.
Di fatto hanno torto entrambi: non c'è nulla di antisemita in quello che ha scritto Grillo - che a suo modo voleva fare un omaggio a Levi - e del resto non si trattava di satira, ma di una riscrittura appunto di un testo celebre, dove era stato espunto qualsiasi riferimento all'Olocausto. Ma questa analisi è troppo profonda per la macchina mediatica: meglio mettere in scena il solito teatrino, con anti-grillini (e 'dissidenti interni') pronti a inneggiare al nuovo Hitler e grillini a difendere 'come una testuggine' il loro leader. 
Se la provocazione di Grillo non è antisemita, forse è il caso di riflettere sull'opportunità di questa operazione mediatica. Toccare certi tasti va fatto con molta cautela, specialmente se si prende una foto di Auschwitz e la si rimaneggia con Photoshop, cosa che ho trovato molto più discutibile della riscrittura di Levi. Se sei una band musicale stile Sex Pistols, Dead Kennedys o Rage Against The Machine, che fa leva sui sentimenti per smuovere le coscienze, può essere una buona idea. Ma se sei un movimento politico che realmente credi nei valori espressi in Manifesto per la soppressione dei partiti politici di Simone Weil (abbiamo già parlato in questo blog di come il M5S abbia disatteso più volte il suo pensiero) dovresti evitare di eccitare le passioni 'di pancia' della gente. Riporto questo commento illuminante (vera rarità per i commenti Web!) di un utente del blog:

La poesia rivisitata non e' nulla di ingiurioso. Le considerazioni contenute sono condivisibili. Trovo solo una brutta caduta di gusto la foto dell'ingresso del lager con la scritta cambiata. Penso che su alcune cose bisogna avere piu' attenzione, piu' rispetto. Cio' premesso, politicamente occorre stare attenti perche' lorsignori, terrorizzati dal Movimento cinque stelle, si attaccano a ogni cosa, anche a una caduta di gusto, per lanciare i loro strali, all'apparenza di fustigatori di costumi, in realta' di biechi conservatori dei loro privilegi.


Se ci fosse onestà intellettuale, Repubblica e compagnia bella avrebbero tuonato semmai contro un altro post del blog di Grillo, intitolato Renzi e Dell'Utri per me pari sono, realizzato dal parlamentare del M5S Nicola Biondo. Il contenuto del post - che descrive la collusione tra destra e sinistra nell'affrontare la questione mafiosa - è condivisibile, ma come al solito il titolo in salsa grillina rovina tutto. E' sacrosanto denunciare le titubanze di Renzi sul 416 ter, ma da qui a equipararlo a una persona condannata per concorso esterno in associazione mafiosa ce ne passa. 
Un invito quindi a Grillo e ai suoi nemici a cercare di far coincidere mezzi e fini, per quanto siamo consapevoli che sia destinato a cadere nel vuoto.

PS: vorremmo ricordare a tutti i mezzi mediatici che da vent'anni esiste una formazione politica che utilizza un'aria lirica scritta da un patriota italiano e avente come tema la liberazione e l'unità dell'Italia per la propaganda di un fantomatico stato padano. Chiamasi questa 'strumentalizzazione', parola molto abusata ma che qui calza a pennello.

lunedì 7 aprile 2014

Renzi, basta la parola!

Avevamo sempre pensato che lo stravolgimento della Costituzione avrebbe recato con sé le facce vecchie e brutte di Berlusconi, Cicchitto e Schifani, e invece sembra che tanto orrore sarà edulcorato dalla presenza bella e giovanile di Renzi e Boschi, quest'ultima particolarmente aggressiva nei confronti degli intellettuali come Rodotà e Zagrebelsky, accusati di impantanare da trent'anni il percorso delle 'riforme' - sicuramente la parola più abusata della neo-lingua orwelliana.
Forrest-Renzi corre, e si appresta con o senza Berlusconi a varare un processo di modifica costituzionale che possa stare al suo passo. In realtà, la storia insegna che il parlamento bicamerale italiano, se pressato dal suo popolo o dai poteri forti (vedi rispettivamente le modifiche costituzionali 'lampo' e per abolire l'immunità parlamentare e per introdurre il pareggio di bilancio nella costitizione) può diventare particolarmente celere; ma Renzi non guarda al passato, bensì al futuro.
Un futuro dove non solo ci aspettano manovre lacrime e sangue per il fiscal compact, ma dove si profila la minaccia dell'abbraccio mortale dell'Europa con gli USA attraverso il progetto di partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTPI), un accordo che costringerebbe i paesi europei - specialmente quelli che rientrano nell'acronomimo PIIGS - a creare condizioni ideali per gli investimenti esteri a livello simil-cinese, sul piano del lavoro e del rispetto dell'ambiente. 
In questo quadro un parlamento (pseudo)monocamerale, eletto con una legge elettorale con premio di maggioranza (quindi una pletora di yes-man o di gente vorrei-ma-non-posso stile Civati) che dà la fiducia a un premier con il potere di rimuovere personalmente i ministri, è proprio quello ci vuole. Se poi tale contro-riforma passa attraverso un disegno di legge del governo su cui è stata posta la fiducia, il cerchio si chiude.
Se 'autoritario' non è la parola adatta, chiediamo a Renzi e Boschi alternative al riguardo.

venerdì 28 marzo 2014

La ragione di Grillo e i grilli per la testa

Tanto di cappello: quando Grillo ha ragione, bisogna riconoscerlo senza se e senza ma. Il comico genovese (o chi per lui, ma dal mio punto di vista poco importa) ha perfettamente inquadrato la questione della visita di Obama in Italia: dietro a tanti sorrisi, battute e cenni d'intesa con il premier rottamatore Renzi, il presidente USA ha dato il via a un futuro decisamente a tinte fosche per il nostro paese se non per tutta l'Europa. Grillo ha centrato perfettamente la posta in gioco,  ossia l'atto di fede dell'Italia agli USA e alla NATO, proprio nel bel mezzo della crisi Ucraina, e il dono greco di Obama, ossia l'emancipazione dell'Italia dal gas russo attraverso l'esportazione di quello a stelle e strisce, ottenuto con  l'inquinantissima tecnica del fracking.
Il pericolo concreto è che il nuovo governo italiano e i potentati che ne tirano le fila abbiano deciso di tentare il tutto per tutto e, dietro i proclami europeisti - per altro mitigati dai mugugni contro il patto di stabilità e i 'compiti a casa' - abbiano deciso per una netta svolta filo-USA, con tutto quello che può comportare. Il timore forte è che seguano i consigli di cattivi maestri, come l'economista keynesiano Giulio Sapelli, che in un'intervista rilasciata a inizio anno ha dichiarato:

"La Germania ci vuole fare morire di deflazione... Agli Stati Uniti in questo momento serve un'Europa forte. Certo, preparano la guerra che verrà con la Cina. Ma hanno bisogno che l'economia europea vada bene. Stiamo trattando un accordo di libero scambio transatlantico: possiamo negoziare. E comunque meglio gli Stati Uniti del dominio tedesco".

Forse adesso preparano una guerra anche contro la Russia, una catastrofe non meno inaudita per l'Europa 'forte' e il mondo intero. Ma se per Enrico IV Parigi valeva bene una messa, forse per i vari Renzi e Sapelli un'economia 'che va bene' vale il rischio di una guerra atomica.

martedì 11 marzo 2014

Il ritratto di Beppe Grillo

Aveva probabilmente ragione Goebbels nel sostenere che una bugia ripetuta mille volte diventa una verità, ma di sicuro una sciocchezza rimane tale anche se a espirmerla è una persona intelligente. "Il nostro movimento fa della compattezza la sua forza, se non vuoi portare avanti questo onorevole compito è giusto dimettersi e dare spazio a chi vuole stare in trincea"; questa dichiarazione del deputato del M5S Alessandro Di Battista a Servizio Pubblico, che fa il pari con quella del suo collega Malio Stefano “coesi come la testuggine spartana, ognuno di noi deve sentirsi protetto dal compagno al suo fianco. In questi undici mesi ho sempre sentito, nei momenti fondamentali, una spada conficcarsi al mio fianco. Questo non è più tollerabile. Fate la vostra scelta. In alto i cuori", non è altro che una rivisitazione di alcuni concetti di Grillo, che ad esempio ha intitolato un suo libro Siamo in Guerra. La Rete contro i partiti.
Confondere il conflitto sociale con la guerra è pericolosissimo, e questo fraintendimento a mio modo di vedere distingue il M5S da altre realtà come, ad esempio, il movimento NoTav. In guerra anche gli stati democratici diventano autoritari, vengono attribuiti poteri speciali al governo e dibattiti, critiche e contestazioni vengono aspramente combattute. I mezzi finiscono per trasformarsi in fini e le aspirazioni idealistiche - anche le pochissime che possono esserci in una guerra - perdono qualsiasi consistenza. 
Grillo e il suo movimento hanno spesso pubblicizzato il libro Manifesto per la soppressione dei partiti politici di Simone Weil, ma viene il dubbio che siano andati avanti più in là del titolo nella lettura. La Weil era talmente gelosa dell'autonomia di giudizio dell'individuo che detestava qualunque pretesa di linea politica, altro che 'testuggine spartana'. In questo senso, con questa ossessione sulla 'compatezza', il M5S è epigono del peggior PCI del centralismo democratico. E se Grillo (con Casaleggio) sta diventando una specie di guru inattacabile, forse a questo punto la colpa non è tanto da ascrivere a lui - che certamente non disprezza tale status - ma di gente come Di Battista e Stefano. 
La situazione non cambia pur ammettendo che molte delle critiche grilline sono assolutamente fondante. Che dire dei 'dissidenti', che se fossero coerenti dovrebbero quantomeno dimettersi da parlamentari? Dell'accanimento mediatico? Tutto giusto, e proprio perché giusto rischia di trasformarsi nel solito alibi per non ammettere i propri problemi.
Può sempre essere un'ottima idea crocettare il simbolo a 5 stelle su di una scheda elettorale, anche perché la 'compattezza' ha i suoi punti di forza: ad esempio può essere un utile antidoto alla corruzione, ragion per cui il M5S è sideralmente superiore alle altre forze politiche. Tuttavia, l'eternamente giovane Dorian Gray non poteva sopportare la vista del suo quadro, ben nascosto in soffitta, che invecchiava e imbruttiva: per quanto tempo il M5S sopporterà di assomigliare sempre di più a ciò che odia?

martedì 25 febbraio 2014

Rilocalizzare!

Probabilmente sarà solo una boutade demagogica e senza possibilità di incidere realmente, ma il provvedimento del presidente francese Hollande contro le delocalizzazioni (che per Repubblica è solo "una delle promesse elettorali di François Hollande, nello spirito della tradizione di dirigismo statale ereditata da Colbert che però appare quanto mai superata in un'economia globalizzata"), la cosiddetta legge Florange, è comunque un segnale per cercare di contrastare un problema oramai epocale senza ricorrere ai classici paliativi basati sulla precarizzazione del mercato del lavoro a condizioni simil-cinesi, al fine di "attirare investimenti dall'estero", che sembra oramai l'unico scopo rimasto dei governi nazionali (in Italia una chiara esemplificazione del concetto sono state le continue tournée di Letta in giro per il mondo).
Nei fatti si tratta di una legge molto blanda: le imprese con più di 1000 dipendenti per delocalizzare sono obbligate a cercare un compratore per gli stabilimenti che vogliono dismettere, ma la destra e le associazioni industriali francesi promettono battaglia, in quanto a loro giudizio si tratta di un provvedimento lesivo della libertà di impresa (potrebbero vedere i loro ex impianti utilizzati da potenziali concorrenti). 
Su questo hanno perfettamente ragione, e non bisogna vergognarsi di reclamare provvedimenti che limitino la libertà economica, se non proprio la proprietà privata stessa, senza passare per bolscevichi.
Le teorie del self made-man devono una volta per tutte fare il loro tempo e morire insieme al neoliberismo. Non esiste persona sulla Terra che sia riuscita a 'farsi da sè' (ossia a diventare milionario o miliardario) senza usufruire dei servizi della società, fossero essi garantiti dallo Stato  o offerti in altro modo dalla comunità. Ernst Friedrich Schumacher nel libro Piccolo è bello ha evidenziato come il successo delle imprese sia strettamente correlato alla presenza di infrastrutture e istituzioni scolastiche, sanitarie e di ricerca a cui gli imprenditori versano al più un contributo economico decisamente sottostimato rispetto ai servizi resi. Da qui si può capire l'infondatezza degli industriali che, lamentando l'eccessivo costo del lavoro, delocalizzano le produzioni in paesi dell'est Europa o del sud del mondo; è retorico chiedersi se le loro aziende avrebbero mai potuto prosperare, se non addirittura nascere, in simili nazioni, con buona pace della “condizioni industriali impossibili”, che ad esempio esisterebbero in Italia secondo Sergio Marchionne.
Bisogna quindi promuovere la cultura dell'uso sociale e responsabile di quei beni che, come le imprese, possono produrre grandi scompensi in caso di delocalizzazione. Se persino Hollande - politico non certo tacciabile di velleità rivoluzionarie - ha cominciato a instradarsi in tal senso, allora possono imparare tutti, specialmente i giovani ambiziosi che invocano la discontinuità dal passato. 

domenica 2 febbraio 2014

Soluzioni fallimentari e rimedi infausti

La situazione politica dei giorni recenti è di abbastanza semplice decifrazione: si deve votare su di un importante provvedimento che porterà miliardi di euro dei contribuenti nelle tasche delle banche e aumenterà il carattere privatistico della Banca d'Italia, si crea una cortina di fumo attraverso l'Imu, e per finire l'inflessibile presidente Boldrini 'ghigliottina' la discussione parlamentare e la resistenza dei 5 Stelle (e magicamente arriva la norma 'salva-Sel' nella famigerata proposta di legge elettorale italicum).
Come ha ben spiegato Nino Galloni, il provvedimento Imu-Bankitalia rappresenta la pietra tombale di ogni possibile sovranità monetaria, perché persino in caso di uscita dall'Euro lo Stato non avrebbe più la possibilità di riprendere il controllo sulla banca centrale, a causa della sua eccessiva ricapitalizzazione.
In Parlamento, grazie alla pattuglia pentastellata, c'è stata battaglia, ma nel paese la gente non sembra particolarmente scossa. Colpa solo di apatia, menefreghismo e disinformazione? Forse, ma sembra un po' riduttiva come spiegazione.
La denuncia della fine della 'sovranità nazionale' probabilmente non scalda i cuori. Da una parte ha un carattere sommante astratto (è più o meno la stessa ragione per cui il popolo di sinistra non si strappa più i capelli a sentir parlare di 'classe'), dall'altra il carattere autoritario della tecnocrazia europea non sembra più di tanto riverdire i fasti della mitica età della sovranità nazionale. Quando mai l'Italia, come gran parte delle nazioni che non sono state superpotenze planetarie del resto, ha goduto di 'piena sovranità'? Subito dopo l'unità? Durante il fascismo, quando si poteva promuovere una politica autarchica attraverso lo sfruttamento coloniale? O nel dopoguerra nel contesto della guerra fredda quando la politica estera (e interna) era in gran parte burattinata da fuori?
Bisogna sicuramente rivendicare sovranità e democrazia contro il centralismo europeo, e promuovere una nuova visione europea di tipo confederale. Tuttavia,  tornare alle vecchie concezioni in materia di stato e democrazia non è la soluzione, specialmente se queste sono alla base della della situazioni attuale (corrotti, malgovernati o quello che si vuole, gli 'stati sovrani' hanno liberamente scelto di cedere sovranità). Se non si sviluppa qualche utopia realistica, il rischio è che si ripeta la situazione dopo la prima guerra mondiale, quando gran parte degli europei preferì rischiare di affidarsi a ideologie nuove e deleterie piuttosto che riproporre esperienze collaudate e fallimentari.
 

lunedì 13 gennaio 2014

Al di là del Job act

Bisogna dare atto al dibattito intorno al Job act di Renzi di aver evidenziato le differenze che, nell'epoca del pensiero unico neoliberista, esistono ancora tra destra e sinistra. Ieri Alfano, contestando le proposte di Renzi come 'idee del 900', ha esposto la versione di destra del lavoro: abolizione dell'art.18 e del contratto nazionale, salari legati produttività, incentivi alle aziende invece di sussidi alla disoccupazione. In pratica, darwinismo sociale allo stato puro.
La proposta renziana è nota, ispirata ai principi della flexsecurity diffusi in Italia da Ichino ed economisti alla moda come Tito Boeri: contratto unico a tutele crescenti (articolo 18 e contribuzione piena solo dopo tre anni), sussidi di disoccupazione subordinati alla frequenza di corsi di aggiornamento professionale, cogestione aziendale attraverso la nomina di rappresentanti sindacali nei cda; un modello che ricorda da vicino quello tedesco.
In tutto questo discorso, se si può capire l'entusiasmo dell'entourage renziano, è più difficile comprendere - a meno di non voler essere malevoli - l'interesse del sindacato più radicale (almeno sulla carta) e in particolare di Landini e della Fiom. 
Il Job act risponde alle esigenze della sinistra neoliberale di facilitare le condizioni di vita del lavoratore nella giungla economica contemporanea, ma nulla di più. Non intacca in alcun modo il principio della delocalizzazione produttiva, vera spada di Damocle dei lavoratori; non contempla provvedimenti come il reddito di cittadinanza, che potrebbero trasformare la provvisorietà dell'impiego in una possibilità, e non nella precarietà più bieca; al limite, con la cogestione sindacale, si trasformerebbero le associazioni di lavoratori - similmente a quanto avviene in Germania - ancora di più in cinghie di trasmissione del governo. 
Ma più di tutto c'è un punto che merita di essere messo in evidenza, anche se si potrebbe applicare a tutta la politica sindacale dal dopoguerra a oggi. Malgrado qualche timida proposta della Fiom in passato - subito smentita da episodi come la difesa a oltranza dell'Ilva di Taranto - alla ricerca della 'crescita perduta' e degli 'invistementi per l'innovazione', il sindacato rinuncia a qualsiasi ipotesi di ridefinizione della politica industriale.  E questo significa rinunciare al futuro, a qualsiasi visione alternativa, pensando unicamente a vaghe ipotesi di uscita dalla crisi per tornare magicamente a 'quando si stava meglio'. Le riflessioni sul Job act rappresentano quindi l'ultima chiamata per il sindacato per capire se, malgrado tutto, può ancora rappresentare, se non proprio uno strumento di rinnovamento sociale, una qualche forma di contestazione a un sistema che la società rischia di affossarla per sempre, anche se tra sorrisi e battute.

giovedì 2 gennaio 2014

Confessioni a reti unificate

Se ne sono dette tante sul messaggio di fine anno di Napolitano, che probabilmente vincerà il Telegatto come programma più visto del 2013, visti i 10 milioni di spettatori (tra i quali non compare il sottoscritto). 
Massimo Fini continuerà a dire che è stato Pertini il peggior presidente della storia, ma non so come potrà reagire di fronte a questa capolavoro: i contenuti del messaggio di Napolitano, in gran parte incentrato su se stesso - quasi facesse una conferenza stampa o un show televisivo, con tanto di lettere alla redazione - e le allusioni sinistre che ha fatto dovrebbero far riflettere. Altro che 'sobrietà', 'responsabilità' e simili. 
Entriamo un po' più nel dettaglio riportando alcuni stralci del discorso del presidente:

''I rischi già corsi si potrebbero riprodurre nel prossimo futuro, ed è interesse comune scongiurarli ancora. La nostra democrazia, che ha rischiato e può rischiare una destabilizzazione, va rinnovata e rafforzata attraverso riforme obbligate e urgenti. Anche se molto è cambiato negli ultimi mesi nel campo politico e le procedure da seguire per le riforme costituzionali sono rimaste quelle originarie, queste riforme restano una priorità. Alle forze parlamentari tocca in pari tempo dare soluzione, sulla base di un'intesa che anch'io auspico possa essere la più larga, al problema della riforma elettorale, divenuta ancor più indispensabile e urgente dopo la sentenza della Corte Costituzionale''. 

Quali sarebbero questi fantomatici 'rischi per la democrazia'? A mio parere, l'uso della parola 'democrazia' ricorda quello che ne faceva la Trilaterale nel suo famoso libro La crisi della democrazia, dove in pratica si sosteneva che la democrazia era in crisi perché ce n'era... troppa. Lo Stato, i partiti politici e le istituzioni tradizionali stavano perdendo sempre più prestigio, e i cittadini stavano maturando strane e pericolose concezioni come l'autonomia individuale, la soddisfazione personale,  rifiutando l'intrusione nella propria vita di uno Stato sempre più invadente. 
La soluzione di Napolitano, siccome immagina riforme costituzionali basate sul rafforzamento dell'esecutivo (se non il presidenzialismo vero e proprio), sembra basarsi sulla soluzione immaginata a suo tempo dalla Trilaterale: salvare la democrazia... riducendola. Non dimentichiamo che un autorevole membro della Trilaterale, Henry Kissinger, chiamava Napolitano "il mio comunista preferito". E come dargli torto?

"Non posso a questo punto fare a meno di sottolineare come nel nuovo anno l’Italia sia anche chiamata a fare la sua parte nella comunità internazionale : dando in primo luogo il suo contributo all’affermazione della pace dove ancora dominano conflitti e persecuzioni".

In pratica sta mettendo un paletto su quello che dovrebbe essere un argomento di libera discussione in Parlamento. Se è Re Giorgio, non è un sovrano costituzionale ma assoluto.

"Tutti sanno – anche se qualcuno finge di non ricordare – che il 20 aprile scorso, di fronte alla pressione esercitata su di me da diverse ed opposte forze politiche perché dessi la mia disponibilità a una rielezione a Presidente, sentii di non potermi sottrarre a un’ulteriore assunzione di responsabilità verso la Nazione in un momento di allarmante paralisi istituzionale.
Null’altro che questo mi spinse a caricarmi di un simile peso, a superare le ragioni, istituzionali e personali, da me ripetutamente espresse dando per naturale la vicina conclusione della mia esperienza al Quirinale. E sono oggi ancora qui dinanzi a voi ribadendo quel che dissi poi al Parlamento e ai rappresentanti regionali che mi avevano eletto col 72 per cento dei voti. Resterò Presidente fino a quando “la situazione del paese e delle istituzioni” me lo farà ritenere necessario e possibile, “e fino a quando le forze me lo consentiranno”. Fino ad allora e non un giorno di più ; e dunque di certo solo per un tempo non lungo. Confido, così facendo, nella comprensione e nel consenso di molti di voi".

Questo passo, che secondo i media rappresenterebbe una dichiarazione esplicita di non voler forzare i limiti del proprio ruolo istituzionale, di fatto è di un candore aberrante. Napolitano implicitamente ammette la fondatezza di tutte le critiche rivoltegli dal M5S, molto più di quanto non avesse fatto con il discorso di insediamento del secondo mandato.
Non è affatto un mistero che la presenza di Napolitano al Quirinale sia vincolata al governo delle 'larghe intese', un impegno per cui  Prodi o Rodotà non sono stati ritenuti all'altezza.  Ma quand'è esattamente che il mandato del presidente si deve ritenere concluso? Quando sarà stata modificata la costituzione? E l'uscita di Berlusconi dalla maggioranza? Questo fatto non muta completamente l'impegno originario?  
Napolitano, con il suo discorso di fine anno, non ha solamente insistito nel dichiararsi presidente solo di una parte del paese, cosa ampiamente prevedibile. Ha ammesso di essere il deus ex machina della politica italiana, capace di condizionare con la sola presenza al Colle tutta l'azione di governo e del Parlamento. Bisogna proprio dargli ragione: la democrazia è in pericolo come non mai.