martedì 26 agosto 2014

Scuole private, pubbliche virtù

Non si può biasimare più di tanto il ministro all'istruzione Giannini per le dichiarazioni rilasciate al Meeting di Rimini in materia di scuola, che parlano di introduzione dei capitali privati nella scuola tramite appositi sponsor, di scatti stipendiali legati al 'merito', di finanziamento agli istituti privati paritari... tutto in nome di una visione 'pragmatica' scevra da 'pregiudizi ideologici' e della 'libertà di scelta'. Certo poteva evitare di definire i supplenti "agente patogeno del sistema scolastico, batterio da estirpare", oppure di ricorrere a espressioni come "rivisitazione rivoluzionaria delle regole del gioco", ma si sa del resto che chi si oppone al governo Renzi è un 'gufo' o peggio e che ogni cosa che fa questo esecutivo come minimo è 'storica' o appunto 'rivoluzionaria'.
In realtà la Giannini ha ripetuto le solite solfe che si sentono dai responsabili del dicastero dell'istruzione dai tempi di D'Onofrio (1994, primo governo Berlusconi) e che vengono ribadite con decisione specialmente davanti a platee interessate come quella riminese. Non bisogna quindi fargliene una ragione personale.
Il fatto è che l'istruzione rappresenta un cruccio non da poco per la governamentalità di tipo neoliberale (ma anche per quelle di altro genere), di cui Renzi è forse la maggior espressione mai avuta in Italia, molto più di quanto avvenuto con i governi di Berlusconi la cui azione 'riformatrice' era 'temperata' dagli interessi personali e dalle grane giudiziarie del tycoon di Arcore. 
Da una parte si riconosce la necessità di formare la popolazione, ma istintivamente i governanti provano sempre un po' il complesso di Baldur von Schirach, il famigerato leader della gioventù Hitleriana che, alla parola 'cultura', metteva istintivamente mano alla pistola. Per tutta una serie di ragioni, un 'buon professore' è sempre un 'cattivo maestro'. Da una parte esiste la facciata dei valori repubblicani di libertà, indipendenza di pensiero, uguaglianza solidale, dall'altra una realtà fatta di competizione, efficienza e 'merito' inteso come legittimazione della disuguaglianza: il bravo professore è quello capace di rendere accettabile lo scarto tra ideale e reale, o meglio che faccia capire come la proclamazione dei valori sia una facciata di legittimazione per provvedimenti pragmatici, dando a tutto ciò una connotazione positiva. Un'impresa non da poco, specialmente quando hai a che fare con giovani menti non del tutto corrotte.
Quindi esistono due varianti di cattivo insegnante: quello che  non rispetta le clausole del contratto di servizio e quello che prende troppo sul serio la sua mission, che si rapporta con alunni e non con 'utenti', che ragiona in termini di progetto educativo e non di 'piano dell'offerta formativa', di lacune da colmare e abilità da valorizzare e non di 'debiti' e 'crediti'. Per la scuola della concorrenza, del merito e dell'investimento privato probabilmente è più facile redimere la prima figura che la seconda. 
La scuola di per sé non è un valore - il sapere e la cultura lo sono - come sottolineava Ivan Illich è un'istituzione abbastanza prevaricatrice, e deve dare davvero tanto alla cittadinanza per legittimare la sua esistenza. Nel caso diventasse un 'batterio da estirpare', sarà bene cercare nuove forme di promozione per cultura e conoscenza, e poi agire di conseguenza.

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