mercoledì 25 giugno 2014

L'irrealismo del pragmatismo

Sembra passato un secolo da quando Grillo diceva 'chi ci ha votato per un'allenza con il PD ha sbagliato a votarci', urlava in faccia a Renzi 'non sei credibile', vomitava improperi contro la televisione dalle piazze, attaccava Napolitano. Il M5S ha scelto l'approccio del 'pragmatismo', ben prima della sconfitta elettorale come dimostra l'abbraccio mortale tra Grillo e Vespa. Detto in poche parole, 'pragmatismo' significa che si smette di agire in base a un criterio di giustizia ma in base all'utilità del momento.
Quindi diventa pragmatico fare una comparsata nel peggior talk show politico della televisione italiana (e probabilmente del mondo). Quindi diventa pragmatico allearsi con il partito di Nigel Farage, pur condividendo poco o niente, perché così si ottengono delle agevolazioni a livello di gruppo parlamentare a Strasburgo. Quindi diventa pragmatico confrontarsi con il premier sulla base della 'legittimazione popolare' avvenuta con le elezioni europee, omettendo quindi di denunciare che il tanto osannato 40,8% è in realtà un dato inferiore a quello del PD veltroniano (altrimenti la sconfitta pentastellata sarebbe ancora più evidente) e accettando invece di diventare i veri legittimatori di Renzi, dandogli quella patente di 'credibilità' aspramente respinta nel primo incontro-scontro on line. Quindi diventa 'pragmatico' accettare che la 'governabilità', e non la democrazia, debba diventare il criterio guida fondamentale della vita istituzionale.
Intendiamoci, quando si accetta la via del parlamentarismo questa separazione parziale tra mezzi e fini diventa praticamente inevitabile. I Verdi tedeschi, che in origine si presentarono alle elezioni politiche solo allo scopo di fare 'tribunato', non andarono molto lontano con questo atteggiamento. Il M5S ha deciso di diventare 'come gli altri', almeno per ora, solo per quanto riguarda gli aspetti più nobili della democrazia rappresentativa. E poi un confronto sulla legge elettorale, che va cambiata, è sicuramente necessario.
Adesso però l'effetto sorpresa del M5S ("siamo uno tsunami") si è definitivamente esaurito, e giocare sul piano del pragmatismo con certe persone è come fare il bagno in mezzo all'oceano circondati da un branco di squali bianchi affammati. Renzi ha subito fiutato odore di preda, invitando i pentastellati a un confronto sulle riforme costituzionali, che significherebbe passare da 'pragmatismo' a 'disfatta', e per tutto il paese. Se il M5S accetta di confrontarsi su questo tema, anche rifiutando in toto le proposte renziane, se accetta di entrare in un processo di modifica della legge fondamentale dello Stato promosso da un parlamento di deputati nominati per di più da una legge elettorale dichiarata incostituzionale, farebbe molto peggio che accettare maxi-stipendi o rimborsi elettorali gonfiati. Non solo darebbe legittimità  a una classe politica che, al di là delle facce belle e giovani, ha come unico motto 'si fa come diciamo noi', ma soprattutto contribuirebbe a demolire l'unico argine contro l'autoritarismo strisciante di cui si fa promotrice. Per difenderlo occorre ritrovare 'irrealismo', 'negatività' e 'spontaneismo', e anche urlare un bel po' se necessario.

giovedì 12 giugno 2014

Delegittimazione popolare

I ballottaggi per le elezioni amministrative hanno visto un ulteriore calo dell'affluenza alle urne, inferiore al 50%, cioé in linea con il dato complessivo delle Europee, considerando tutti i paesi aderenti all'Unione. Tutto ciò deve farci seriamente riflettere sulla tenuta democratica delle istituzioni nazionali e sovranazionali.
A scanso di equivoci, non le ritengo illegittime per il fatto che non riescano più a coinvolgere la popolazione: illegittime sono le istituzioni basate sulla coercizione apertamente violenta, che non riconoscono il minimo valore alla sovranità popolare. Se la sovranità appartiene veramente al popolo, come recita il dettato costituzionale, allora significa che le istituzioni apatiche attuali sono delegittimate, cioé agiscono in base a un consenso largamento minoritario e sotto pesante sfiducia della popolazione. Ciò non impedisce loro di svolgere le funzioni a cui sono preposte, tuttavia i politici che le compongono, specialmente quelli che occupano sedi di governo, devono essere consapevoli del loro carattere minoritario, evitando qualsiasi soluzione verticistica e ricercando invece il più possibile dialogo e mediazione con il popolo sfiduciato.
In caso contrario, se agissero come sostenuti da un mandato plebiscitario, allora non sarebbe affatto eccessivo parlare di autoritarismo, e dalla delegittimazione si scivolerebbe pericolosamente verso la vera e propria illegittimità. Proposte di stravolgimento della Costituzione e dichiarazioni come "la concertazione è finita, ascoltiamo tutti e poi decidiamo noi" (sfortunata uscita di qualche settimana fa del ministro Poletti) e le recenti uscite di Renzi non promettono nulla di buono. C'è da sperare che l'attuale arrogante classe dirigente post-rottamazione abbia conservato un barlume minimo di coscienza democratica da non costringere il popolo a scelte sofferte e dilemmatiche.